giovedì 23 luglio 2009

Milano 24 luglio - 24 ore con gli studenti iraniani


Consolato iraniano di Milano, piazza diaz, dalle ore 17.00, 24 luglio 2009

Gli studenti iraniani, in sciopero della fame, mobilitati in tutto il mondo per una protesta contro le elezioni-truffa e la repressione in occasione del discorso di insediamento di Ahmadinejad, a Milano, dalle ore 17.00, iniziano un presidio lungo 24 ore davanti al consolato di piazza Diaz.
"Lanciamo un appello -dicono - a tutti coloro che difendono il rispetto dei diritti umani. Vi invitiamo a sostenerci e ad appoggiarci nel nostro percorso verso la libertà."
Un modo per esprimere visivamente la solidarietà è portare al braccio un nastro verde.

Alfonso Navarra, della campagna di obiezione di coscienza delle spese militari, è stato invitato a parlare della sua esperienza a Berlino nel 1989, quando partecipò, a fianco dei pacifisti dell'Est Europa, alla rivoluzione democratica che portò all'abbattimento del Muro, nel quadro di una iniziativa internazionale per lo scioglimento dei blocchi militari.

Si ricorda, per sabato 25 luglio, a Roma, la manifestazione di protesta davanti all'ambasciata dell'Iran (ore 17, via Nomentana 361).


dalla URL: http://reporters.blogosfere.it/2009/07/liran-dei-record-e-la-piu-grande-prigione-per-giornalisti-e-blogger.html
"Reporters senza frontiere", 41 prigionieri in Iran: il carcere per blogger, giornalisti e fotoreporter
Di Joshua Evangelista - 23 luglio 2009




Quarantuno. Blogger, giornalisti e fotoreporter iraniani in prigione. Ad un mese dall'inizio delle proteste post elezioni, Reporters senza frontiere esprime tutta la sua preoccupazione, affermando che "quattro degli ultimi cinque arrestati sono nascosti in un posto segreto e, come succede agli altri, i familiari non hanno alcuna notizia sulle loro condizioni. In molti di questi casi, ai prigionieri non è concessa nessuna visita e gli avvocati non possono accedere ai loro fascicoli".
Tra gli ultimi arrestati c'è il fotografo Tohid Bighi del sito Mashroteh (che alle presidenzialisupportava il candidato riformista Mehedi Karoubi), detenuto da sabato senza alcun motivo apparente. Il giorno prima è toccato, fermato davanti casa, al suo collega Majid Saeedi (http://majidsaeedi.com), che nel 2001 aveva fatto un reportage dall'Afghanistan per il Time.

Continua...

martedì 21 luglio 2009

La militarizzazione dell'Iran - una discussione

DA PARTE DI ALFONSO NAVARRA
COORDINAMENTO FERMIAMO CHI SCHERZA COL FUOCO ATOMICO

Caro Pietro Ancona,

Se diamo una mano ad Ahmadinejad ed ai suoi sogni di gloria militare e di potenza facciamo il gioco del militarismo israeliano e di quello americano che non aspettano altro per riaffermare, contro Obama, il loro "war first!"

Se l'Onda Verde sollevatasi a Teheran non molla ma continua a resistere (anche grazie alle contraddizioni interne del regime clerico-fascista) questi piani saltano - fortunatamente - per aria.

(leggi tutto...)



Nelle mie analisi parto solitamente dall'ipotesi sommaria che il nucleare rappresenti 1/5 dell'apparato difensivo USA, per una spesa che si aggira sui 100 miliardi di dollari annua (confermata da una recente relazione del Carnegie Endowment for International Peace, si veda alla URL http://nwoobserver.wordpress.com/ ).

Questo come peso quantitativo.

Qualitativamente va considerato invece lo strumento supremo, il punto centrale della strategia difensiva, che tende oggi a passare dalla deterrenza all'impiegabilità.

In questo contesto possiamo inserire la denuncia di Angelo Baracca sulle "armi misteriose" impiegate a Gaza, di cui parla un servizio di RAINEWS 24.

Il governo israeliano, in questo caso, ha sperimentato per conto del MIC-Military Industrial Complex USA - che va distinto dalla Nazione Americana.

Angelo Baracca, in un suo recente messaggio nella mauling list "rivoluzione scientifica", lancia un allarme nei confronti degli orrori che il "progresso" (?) tecnologico al servizio della guerra sta realizzando.

Baracca cita, ad esempio, notizie su "orripilanti utilizzazioni delle nanotecnologie".

Ed aggiunge: "Da anni cerco di lanciare un allarme sul gravissimo (quanto taciuto) inquinamento radioattivo dell'atmosfera terrestre (ne ho trattato, con molte referenze, sul mio ultimo libro sul nucleare), legato all'aumento ormai inequivocabile delle patologie tumorali".

"Mi convinco sempre di più, afferma in conclusione - che siamo sull'orlo dell'abisso della barbarie più sfrenata e sconsiderata"...

Qual è la risposta, di fronte a questa china che ci porta alla catastrofe?

Alcuni - e tu, Pietro Ancona rientri tra questi - pensano che la strada sia aiutare gli "Stati anti-imperialisti" a inseguire le grandi potenze nella loro corsa distruttiva a più armi e sempre più micidiali.

Da una parte denunciamo il "cattivo" nucleare americano ed israeliano, dall'altra appoggiamo il "diritto" delle Nazioni "proletarie" a farsi la propria Bomba... Questo servirebbe a renderle "autonome"!

E' una visione speculare a quella della sua interlocutrice Barbara Spinelli, nota fondamentalista sionista, per il quale il nucleare "buono" è quello in mano agli "occidentali", "buoni", appunto, per antonomasia e quindi beneficiari dell'"omnia munda mundis".

Viva la democrazia atomica con le Bombe "autonome" in mano a tutti! ed intanto il solo ampliarsi dei cicli produttivi di uranio e plutonio ci condanna tutti al disastro ecologico, anche se le testate dovessero rimanere sempre e solo stipate nei silos.

Al sottoscritto questo orientamento appare un delirio stupido ed autodistruttivo, che poteva avere senso - forse - nel 1968, quando poteva rivendicare credibilità l'idea di ricostuire un "fronte anti-imperialista" intorno alla Repubblica Popolare Cinese, impegnata nella Grande Rivoluzione Culturale Proletaria...

Essendo entrati, per chi non se ne fosse accorto, nel XXI Secolo, avendo constatato il fallimento del "comunismo reale", in presenza del prossimo crollo del "capitalismo reale", abbiamo oggi bisogno di visioni globali che facciano riferimento alla "comune umanità" e di unire gli esseri umani - in prima fila gli "oppressi" - nella lotta contro gli "apparati sociali della potenza".

Questo è il compito dell'oggi per chi intende militare nel "fronte della sopravvivenza della specie".

Le altre battaglie le considero allo stesso livello che riproporre oggi il conflitto guelfi-ghibellini: roba superata, oltre che immonda, che serve solo a legittimare poteri costituiti che dovremmo invece abbattere.

Se diamo una mano ad Ahmadinejad ed ai suoi sogni di gloria militare e di potenza facciamo il gioco del militarismo israeliano e di quello americano che non aspettano altro per riaffermare, contro Obama, il loro "war first!"

Se l'Onda Verde sollevatasi a Teheran non molla ma continua a resistere (anche grazie alle contraddizioni interne del regime clerico-fascista) questi piani saltano - fortunatamente - per aria.

Che i ragazzi e le ragazze come Neda, al pari degli indios e dei contadini in America Latina, siano la speranza per la pace nel mondo è comunque fuori dalla possibilità di comprensione di chi non riesce ad uscire dalla sua vecchia gabbia ideologica, fatta di concetti astratti che, ieri come oggi, sono sempre dalla parte di chi spara contro i poveracci, in nome di ormai sputtanati Paradisi terreni futuri.

La necessità di "rompere l'accerchiamento e l'assedio" come giustificazione di tutte le nefandezze è una storia che conosciamo almeno sin dai tempi di Stalin.

E se Abu Mazen è un "venduto" figuriamoci quanto sono libere ed indipendenti dallo "straniero" le bande di Hamas!

Ma non ti preoccupare, Neda. Le marce ideologie di due secoli fa (il tempo passa...) non riusciranno a seppellirti una seconda volta e a dare lustro di campione popolare al tuo carnefice Ahmadinejad.

I nostri sogni sono semplici, concreti, sono sogni di libertà elementari (poter portare i capelli lunghi: il '68 è nato anche su questo), sono sogni di diritti basilari; sono sogni ed insieme bisogni: per questo, comunque colorati, e senza bisogno di studiare Gene Sharp, ce la faremo.

Per l'intanto ricordiamoci di praticare l'obiezione alle spese militari e nucleari

Info sul sito: www.osmdpn.it



DA PARTE DI PIETRO ANCONA


Cara Dott.ssa Spinelli,

Lei scrive una bellissima prosa ricca di riferimenti culturali. Spesso si ha il piacere, leggendola, di fare una lettura colta, informata, stimolante.

Quando questa bella scrittura è applicata alla dimostrazione di una falsa verità, cioè di una menzogna, è doppiamente riprovevole. E' preferibile la prosa ruvida ed aggressiva di quanti apertamente vogliono e preparano un'altra apocalisse per l'Iran, l'apocalisse per la quale sommergibili israeliani con la complicità dell'Egitto, (il cui regime anche Lei si guarda bene dall'analizzare con lo stesso microscopio che usa per l'Iran),hanno attraversato lo stretto di Suez e si sono piazzati, magari con microbombe nucleari, alle spalle dell'Iran.

Forze navali israeliane, con l'assistenza europea e statunitense, da molti mesi si esercitano al largo di Gibilterra in vista appunto di una aggressione all'Iran.

Lei fa discendere le involuzioni del regime iraniano verso il nazionalismo ed il militarismo da dinamiche interne, come se quanto accade in Iran possa prescindere e non dipenda dalla situazione di accerchiamento internazionale e di isolamento in cui è costretto da anni dall'Occidente. Si potrebbe salvare da ciò se tornasse ad essere come lo Scia il guardiano feroce e sanguinario degli interessi occidentali nell'area e se collaborasse militarmente con gli Usa in Afghanistan. Mousavi e Rafsanjani sono i grimaldelli per distruggere l'autonomia dell'Iran e farne quello che Abu Mazen ha fatto della Gisgiordania, una nazione non "canaglia" ma serva di un padrone che si fa rappresentare in loco dalla enorme e minacciosa potenza atomica israeliana.

Non ho dubbi che l'anelito di libertà e di democrazia dei giovani iraniani sia oggi strumentalizzato alla causa della ennesima rivoluzione colorata attentamente studiata da Gene Sharp e di già applicata con successo in tanti posti di grande interesse strategico per gli Usa come la Georgia, la Bielorussia, l'Ucraina........

La responsabilità dell'indurimento del regime iraniano è dell'Occidente e delle sue politiche di strangolamento di ogni opposizione ad una omologazione sottomessa. Tutti i popoli che si sono dati regimi ideologicamente diversi dal capitalismo hanno subito la stessa tragica sorte. Dalla Russia di Lenin a Cuba di Fidel Castro. Non sappiamo se i comunismi sarebbero stati dittature senza l'accerchiamento delle diverse "guardie bianche". Forse non lo sapremo mai. Di certo,sotto la spada di Damocle dell'invasione e della distruzione non prospera la libertà e con essa la democrazia.

La situazione iraniana è assai pericolosa dal momento che l'Occidente ha spaccato il gruppo dirigente della Rivoluzione ed ha assoldato un'ala peteinista che è assai potente e può darsi che riesca a rovesciare Ahmanidjed ed ad aprirsi alle pretese imperiali degli Usa e del suo pretoriano Israele. In questo caso la popolazione di Gaza continuerà a soffrire la fame e la sete e la prigionia fino alla sua estinzione fisica e magari il Libano, appena qualcuno avrà finito di ricostruirlo, sarà ridotto in macerie per la terza volta. Il destino dell'Iran sarà segnato da governi del genere di quelli che gli americani puntellano con le spade in Irak ed Afganistan.

Che cosa avranno i giovani iraniani dalla vittoria del movimento in corso?

Pietro Ancona





http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=40&ID_articolo=162&ID_sezione=55&sezione=



28/6/2009

L'Apocalisse maschera del potere


BARBARA SPINELLI

Ci sono abitudini simili a bende sugli occhi, che impediscono di vedere. O simili a guinzagli, che accorciano il pensiero annodandolo al conformismo. Il nostro sguardo sull’Iran è prigioniero di queste bende e questi guinzagli, fin dai tempi dello Scià e poi anche dopo la rivoluzione di Khomeini. L’Iran lo identifichiamo ormai da trent’anni con il turbante, con il Corano, con la violenza in nome di Dio, con la religione che s’intreccia alla politica e l’inghiotte. Quando i suoi dirigenti si ergono contro il mondo esterno o contro il proprio popolo, subito tendiamo a scorgere la mano e la mente d’un clero retrogrado. Il suo establishment usiamo chiamarlo religioso, nell’élite sacerdotale ci ostiniamo a non vedere altro che integralismo.

È dagli Anni 50 che le amministrazioni americane sbagliano politica in Persia, suscitando sistematicamente le soluzioni peggiori e trascinando negli errori anche l’Europa. Tanto più urgente è congedarsi da bende e guinzagli, e cominciare a guardare quel che veramente sta succedendo in Iran.

Da quando si sono svolte le elezioni, il 12 giugno, sui tetti delle case si aggirano giovani assetati di libertà che gridano nella notte «Allah Akbar», Dio è grande, aggiungendo immediatamente dopo: «A morte il dittatore», proprio come nel 1979. Sono cittadini che di giorno hanno sfilato per strada contro i brogli elettorali: che hanno smesso la paura, e rischiano la vita parlando con frequenza di sacrificio di sé. Anche Mir Hossein Mousavi, il loro leader, annuncia che resisterà «fino al martirio».

A Qom, che è una delle città sacre dell’Islam sciita di qui partì la rivoluzione khomeinista vive una classe sacerdotale che nella stragrande maggioranza avversa il presidente. Non più di tre, quattro ayatollah lo sostengono, anche se i loro uomini occupano i principali centri di potere (Pasdaran, servizi, giustizia). I massimi teologi del Seminario di Qom hanno scritto una lettera aperta, dopo il voto, in cui dichiarano i risultati «nulli e non avvenuti». Viene da Qom ed è figlio di un ayatollah il presidente del Parlamento Larjiani, ostile a Ahmadinejad. Si è rinchiuso a Qom il numero due dello Stato, l’ayatollah Rafsanjani, per verificare se sia possibile mettere in piedi una maggioranza di religiosi, nel Consiglio degli esperti che presiede, capace di destabilizzare e forse spodestare la Guida suprema, l’ayatollah Khamenei che ancora difende la legittimità di Ahmadinejad. Il Consiglio degli esperti nomina la Guida suprema a vita, ma può destituirla se essa non mostra saggezza. Sembra che Rafsanjani abbia già convinto 40 capi religiosi, sugli 86 che compongono il Consiglio. Nella città religiosa di Mashhad, molti sacerdoti musulmani hanno partecipato alle manifestazioni contro il regime. Non trascurabile è infine il simbolo della resistenza: verde è il colore dell’Islam. Questo significa che non siamo di fronte a una sollevazione contro lo Stato religioso. Per il momento, siamo di fronte a un’insurrezione fatta in nome dell’Islam contro un gruppo dirigente considerato blasfemo e nemico del clero.

Ahmadinejad ha questo vizio blasfemo, agli occhi della maggioranza dei sacerdoti tradizionali e di grandissima parte della popolazione. In lui non si percepisce un leader integralista, ma un dittatore che ha motivazioni tutt’altro che religiose. Il suo potere è innanzitutto militare, e nel frattempo è anche divenuto economico. Le sue parole d’ordine sono improntate a un nazionalismo radicale, estraneo alla spiritualità. Il corrispondente della Frankfurter Allgemeine, Rainer Hermann, è un fine conoscitore del paese e parla di «svolta pakistana»: sotto la presidenza Ahmadinejad, negli ultimi quattro anni, avrebbe preso il potere un’élite che nella sostanza è laica, e che usa la religione non solo per abbattere ogni forma di democrazia ma per distruggere il clero tradizionale.

L’uso della religione è sin da principio politico, in Ahmadinejad.

Fedele alle dottrine apocalittiche dell’ayatollah Mesbah Yazdi, il presidente si dice convinto che l’era dell’ultimo Imam il dodicesimo Imam messianico, il Mahdi occultato da Dio per oltre 1100 anni stia per riaprirsi, con il ritorno del Mahdi. Tutte le apocalissi, anche quelle ebraiche e cristiane, sono rivelazioni che presuppongono tempi torbidi, in cui il male s’intensifica. Anche per la scuola Hakkani, che Yazdi dirige e cui appartengono gli Hezbollah iraniani, il male va massimizzato per produrre il Bene finale. L’ayatollah ha insegnato a Ahmadinejad l’uso del messianesimo a fini politici, non teologici. I politici messianici in genere parlano di Apocalisse non perché credono nella Rivelazione, ma perché nell’Apocalisse il dialogo con Dio è diretto (nell’Apocalisse di Giovanni scompaiono i templi) e il capopopolo non ha più bisogno del clero come intermediario. L’apocalisse serve a escludere il clero dalla politica e forse anche la religione.

Il segno più evidente della svolta laico-pakistana di Ahmadinejad è la militarizzazione del regime. I guardiani della rivoluzione, i Pasdaran, dipendono da lui oltre che da Khamenei. E i picchiatori delle milizie Basiji non sono nati nel fervore religioso ma nel fervore della guerra di otto anni tra Iran e Iraq. I Basiji erano i bambini o i giovanissimi che in quella terribile guerra, tra il 1980 e il 1988, venivano gettati, inermi, nei campi minati dal nemico: perirono in migliaia. Secondo alcuni storici (tra cui lo specialista Hussein Hassan) Ahmadinejad fu il giovane istruttore di quei martiri forzati. Il suo disegno: rompere il singolare equilibrio di poteri tra sovranità popolare-democratica, sovranità religiosa e sovranità militarizzata che caratterizza l’Iran. Un equilibrio ripetutamente violato ma che rispecchia la storia del paese, sempre oscillante fra il costituzionalismo democratico affermatosi nel 1906 e la brama mai spenta di Stato assoluto. Il potere di Ahmadinejad e dei Guardiani è ormai più forte anche presso i più poveri del paese di quello dei Mullah, i sacerdoti che fecero la rivoluzione.

Quel che è avvenuto sotto Ahmadinejad è una sorta di colpo di Stato modernista, che ha intronizzato l’élite formatasi nella guerra contro l’Iraq. È il potere di quest’élite che Ahmadinejad protegge, e esso non coincide con il potere religioso. Tra molti esempi si può citare la decisione di togliere al clero la gestione dei pellegrinaggi e di affidarla al ministero del Turismo: una misura che ha profondamente umiliato i religiosi. L’apocalisse è strumento di lotta molto terreno: nella conferenza stampa dopo le elezioni, Ahmadinejad ha ripetuto la formula d’obbligo che impone di parlare «in nome di Allah il Misericordioso», ma subito dopo ha rotto la tradizione invocando il dodicesimo Imam. Le milizie Basiji da qualche tempo si son tagliate la barba: è un altro segno di ribellione ai Mullah. Nella campagna elettorale, Mousavi si è presentato con il verde dell’Islam e del movimento riformatore. Ahmadinejad con la bandiera nazionale.

È dunque il nazionalismo militarizzato, il regime che oggi vacilla e sta riducendo al silenzio i riformatori. È il nazionalismo che si è abbarbicato all’atomica, e fatica a negoziare su di essa. Ma l’atomica è al tempo stesso la risposta dell’Iran intero ai tanti errori di valutazione dell’Occidente e alla cecità delle amministrazioni Usa, che mai hanno capito le riforme di cui questo paese aveva bisogno (non lo capirono con il Premier Mossadeq, che spodestarono nel 1953 per tutelare lo Scià e le vie del petrolio; non lo capirono quando minacciarono Teheran nonostante al governo ci fossero riformatori come Rafsanjani o Khatami). La sfida atomica iraniana non verrà meno, il giorno in cui vincessero i riformatori. Ma almeno non sarà al servizio del più tremendo dei nazionalismi: quello che sceglie come maschera l’Apocalisse.

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domenica 19 luglio 2009

Il 25 luglio G-Day per la libertà in Iran





Iran: 25 Luglio 2009. Global Day of Action - Roma


In difesa della Democrazia, dei Diritti Umani e per un futuro migliore. Noi, studenti iraniani, liberi da ogni legame partitico, manifestiamo contro la manipolazione dei risultati elettorali nel nostro Paese.
Il 25 luglio si terrà il discorso di insediamento di Ahmadinejad, che non riconosciamo come presidente legittimo della Repubblica islamica dell’Iran. Da settimane stiamo manifestando in tutta Italia, come i nostri connazionali nel resto del mondo, per condannare ogni violenza perpetrata contro i civili e gli studenti che manifestano nel nostro Paese.
Indiciamo quindi, in occasione del discorso di insediamento di Ahmadinejad, una manifestazione nazionale a Roma davanti l’ambasciata della Repubblica islamica dell’Iran che si svolgerà a partire dalle ore 17.00.
Gli eventi delle ultime settimane hanno visto una violenta repressione nei confronti di chi pacificamente è sceso in piazza in segno di protesta contro quelli che ormai appaiono evidenti brogli elettorali. Neda, Sohorab e centinaia di altri nostri fratelli sono stati uccisi. Migliaia di cittadini, studenti, esponenti politici, giornalisti e bloggers iraniani sono stati arrestati. Il governo di Ahmadinejad sta praticando una forte censura sulla stampa e la televisione, blocca i siti internet e l’invio di sms, ledendo così la libertà di espressione e di informazione. Le città di tutto il Paese sono ormai militarizzate.
Tutto ciò è in evidente contraddizione con le più elementari forme di democrazia e di libertà, oltre a essere in palese contrasto con i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e con la stessa Costituzione (Ghanoon-e-assassi) della Repubblica islamica dell’Iran.
Indiciamo quindi, in occasione del discorso di insediamento di Ahmadinejad, una manifestazione nazionale a Roma davanti l’ambasciata della Repubblica islamica dell’Iran che si svolgerà a partire dalle ore 17.00.
Invitiamo tutti i cittadini italiani, le associazioni, i movimenti e i partiti politici a sostenerci partecipando alla manifestazione. Chiediamo, tuttavia, che non siano presenti segni distintivi dei singoli partiti politici affinché la manifestazione possa avere un carattere il più inclusivo possibile. Chiediamo invece che ogni partecipante porti con sé qualcosa di verde, simbolo del movimento.
Noi andremo avanti! Fatelo con noi!
Studenti iraniani in Italia
Roma, 25 luglio 2009
Ore 17.00
Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran
Via Nomentana, 361


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Protezione iraniana sull'Italia in Afghanistan

Da parte del Coordinamento FERMIAMO CHI SCHERZA COL FUOCO ATOMICO

Quello che Dal Lago non ricorda nel suo articolo per il "Manifesto" del 16-7-09 (di seguito riportato) è che le truppe italiane nell'Afghanistan si sono piazzate nella regione di Herat, praticamente sotto - condizionata - protezione iraniana.
Va premesso che il nostro Paese è il principale partner commerciale dell'Iran nel mondo: questo conterà pur qualcosa. Importa petrolio. E lascia che la droga fluisca dall'Afghanistan all'Europa, passando appunto per l'Iran via Herat...


Giorgio Beretta, della RID, ci ricorda qualche dato sull'interscambio Italia-Iran: "Da una ricerca di Unimondo sul database del commercio estero dell'Istat, nel solo 2008 l'Italia ha esportato in Iran merci per un valore di oltre 13,6 miliardi di euro. E la progressione è crescente: si passa dai poco meno di 200 milioni di euro del gennaio 2008 a quasi 2,2 miliardi di dicembre dello stesso anno. La bilancia commerciale è comunque a favore di Teheran: nel 2008 L'italia ha infatti importato merci - e soprattutto petrolio - per un valore di oltre 25 miliardi di euro".
L'Italia nell'Herat in cui si è stabilita gestisce il PRT (Provincial Reconstruction Team) ed è responsabile delle quattro province della sua regione Ovest.
Le popolazioni qui, pur essendo di religione sunnita, parlano però la lingua "dari", variante del persiano, le loro organizzazioni guardano a Teheran, ma confinano con la ostile presenza pashtun.
Farah, la provincia dove è morto il parà italiano, confina con lo Helmand, dove Obama ha scatenato la sua "grande offensiva" in vista delle elezioni del 20 agosto e dove l'"insorgenza pashtun" è forte, dura e bene organizzata.
Nella città di Farah gli americani hanno realizzato una nuova base.
Margherita Paolini, su Limes 3/07 "Mai dire Guerra" (l'articolo è intitolato "Per non perdere l'Afghanistan") svolge, a proposito di essa - base - le seguenti considerazioni:
"(La base sorge) a 45 km dalla frontiera iraniana, certamente in funzione più antiraniana che antitalibana, visto che in questa zona essi non dispongono di importanti retroterra. La base è posizionata in modo da controllare anche l’asse che collega Herat con l’importante centro gasifero di Mary in Turkmenistan. Su questo asse viaggia la ferrovia che garantisce i nostri rifornimenti, in parte assicurati anche via aria grazie ai corridoi aerei concessi dagli iraniani. Nel caso di una guerra «preventiva» Usa-Iran, le nostre truppe si troverebbero in una delle aree più esposte alle rappresaglie dei pasdaran lungo tutto il confine di 630 chilometri che la regione di Herat divide con l’Iran".
Il Ministro Frattini sostiene che per l'Iran passa il 40% della produzione degli oppiacei prodotti in Afghanistan, droga diretta al mercato europeo (fonte: Reuters - 27 Giugno 2009). Molti analisti, lo ricordiamo ancora, hanno il sospetto che l'Italia chiuda gli occhi su questi traffici...
Negli ultimi mesi il contingente italiano è cresciuto numericamente fino a contare 3.300 soldati, si è dotato di mezzi come 4 aerei Tornado e una squadra di elicotteri Mangusta, mentre l’impegno operativo è aumentato notevolmente con l’eliminazione dei caveat che ne limitavano l’impiego. I parà conducono da maggio anche azioni offensive al fianco delle truppe Kabul con l’obiettivo di strappare ai talebani il controllo di alcune aree del territorio. Cioè lo stesso compito assegnato a britannici e americani a Helmand e in altre province del sud e dell’est afgano dal comando alleato di Kabul che punta ad estendere al massimo il presidio del territorio in vista, come si è detto, delle elezioni presidenziali del 20 agosto.
Ma i nostri militari sono coinvolti negli scontri a fuoco essenzialmente per la seguente dinamica: l'offensiva nello Helmand delle truppe anglo-americane costringe i taleban a spostarsi nei "nostri" territori dello Herat: qui gli "alleati" si aspettano che noi spariamo loro addosso...
Gli iraniani vogliono invece che non diamo troppo fastidio agli insorti. Che fare, dunque? Possiamo ancora pretendere di stare in mezzo ad una guerra, tra vari fuochi, fingendo che siamo lì ad edificare ospedali e a distribuire caramelle ai bambini?
A Herat sono attualmente attive nel "settore di assistenza alle fasce vulnerabili" due Ong italiane: Intersos e Cesvi. Entrambe realizzano progetti, finanziati dalla DG Cooperazione allo Sviluppo, nella città di Herat e nei distretti limitrofi, promuovendo "corsi di formazione professionale, attività di auto sostentamento nel settore agro pastorale, assistenza e reinserimento sociale dei profughi afgani rientrati dall’Iran".
Questa presenza è presentata dalla DGCS come un "esempio di cooperazione civile-militare" (Fonte: DG Cooperazione Italiana allo Sviluppo).
Quella che chi lavora per i Corpi civili di Pace francamente dovrebbe invece evitare come la peste, almeno in questa fase in cui la politica militare italiana è coinvolgimento (subalterno) nella "guerra al terrore"...
E qui ribadiamo il solito discorso, contrapposto a qualsiasi tipo di interventismo militare: dobbiamo lasciare l'Afghanistan agli afghani! Quanto prima e quanto più completamente ci togliamo dai piedi meglio è.
Questo significa:
1- ritirare tutti i nostri "caritatevoli" soldati, anche quelli "europei" che, con le migliori intenzioni, volessero fare da usbergo ai signori della guerra;
2- colpire, invece, i signori della guerra: a) andando a scovare qui trafficoni (militaristi) e trafficanti (criminali) con cui essi - i lords of war - sono in combutta; b) acquistando a prezzo equo dai contadini afghani l'oppio che ci serve come medicinale; c) liberalizzando da noi le droghe "leggere" e legalizzando le droghe "pesanti".
Non ci siamo ancora stancati della "solidarietà" che vuole risolvere i problemi dei "sottosviluppati", nel presupposto che noi siamo i forti e i civili e gli altri sono deboli e minus habens?
Noi e i contadini afghani abbiamo un problema comune su cui possiamo impostare, alla pari, una lotta comune: stroncare insieme il traffico internazionale della droga; ed il proibizionismo che ne costituisce la base legale.
Dobbiamo conoscerci - le società civili - e dialogare per costruire, da pari a pari, una nuova internazionale dei diritti umani sulla base della centralità degli oppressi.
A questo potrebbe servire una Ambasciata di pace a Kabul.
Non a fare la "resistenza" per la ricostruzione al posto degli altri: le "resistenze", allo stesso modo delle democrazie, non si esportano. La soluzione, ce lo dice una esperienza pluri-secolare, risulterebbe peggiore dei problemi a cui si vorrebbe porre riparo...
Per l'intanto c'è da ribadire comunque l'impegno a battersi per il ritiro incondizionato di tutte le truppe della NATO, da questo e dagli altri fronti della "guerra al terrore".
E da proporre a tutto il movimento no-war l'obiezione alle spese militari (vai sul sito www.osmdpn.it) come forma di protesta e di resistenza al nostro coinvolgimento bellico.
Una forma che potrebbe e dovrebbe interessare anche i movimenti della resistenza territoriale, perchè la contestazione e la riduzione delle spese militari e belliche indebolisce lo Stato autoritario, con le sue "Grandi Opere" invasive ed oppressive; e libera risorse per le autentiche necessità sociali.


fonte il manifesto del 16/07/09

AFGHANISTAN, «EXIT STRATEGY» DEL SILENZIO
Alessandro Dal Lago

Mentre Obama inizia a parlare, anche se con grandissima cautela, di una qualche exit strategy dall'Afghanistan, in Italia tutte le massime autorità dello stato e del governo si affrettano a riaffermare la fedeltà alla missione Nato.
Nulla come questa discrepanza rivela l'assoluta marginalità del nostro paese nelle questioni strategiche e la subordinazione a prescindere, mentale oltre che politica, alla Nato e agli Stati Uniti.
Così è andata con l'Iraq e così continuerà ad andare. L'unica differenza è che, a ogni soldato ucciso, cade un altro velo di ipocrisia. Quella a cui l'Italia partecipa, con forze destinate ad aumentare, non è un'operazione di mantenimento della pace o di «nation building», con i nostri bravi ragazzi che distribuiscono viveri e costruiscono scuole, ma una guerra vera e propria condotta in condizioni proibitive in un paese da cui, negli ultimi trecento anni, nessun esercito straniero è uscito vincitore. Una guerra che, ovviamente, porterà altri lutti in un paese come il nostro, che combatte ma non lo vuole ammettere.
Da mesi osservatori e anche autorità militari dei paesi più coinvolti (per esempio, gli inglesi) dichiarano che la guerra si è impantanata e che in realtà americani e Nato controllano, a parte l'area di Kabul, e altre poche enclaves, solo le basi militari. Ma le ragioni dello stallo (o, meglio, di una strisciante sconfitta strategica) non sono solo militari - come la mancanza di obiettivi precisi, o l'illusione di venire a capo con i bombardamenti «mirati» e le forze speciali di una resistenza radicata evidentemente nel tessuto sociale pashtun.
Sono soprattutto politiche: il governo Karzai è notoriamente corrotto e, per arginare l'influenza dei talebani, viene a patti con le forze più conservatrici, ciò che lo rende sempre meno popolare. Inoltre, i massacri di prigionieri compiuti da alcuni signori della guerra (con la complicità americana) nel 2001 hanno radicato in vaste parti del paese un odio per gli occidentali che non si spiega solo con la propaganda dei talebani.
Obama, ovviamente, ne è consapevole, ma al tempo stesso è costretto a gestire l'eredità avvelenata di Bush: le conseguenze della guerra in Iraq (con il conflitto tra sunniti e sciiti), la crisi del regime iraniano (che impedisce in questa fase qualsiasi negoziato sulla questione nucleare) e il rebus pakistano compongono un puzzle strategico insolubile.
Di conseguenza, l'idea di uscire dall'Afghanistan delegando alcune funzioni civili e militari all'inetto governo Karzai suona più come un mettere le mani avanti che non come una vera prospettiva praticabile a breve termine.
Di tutto questo si discute anche aspramente, negli Usa e nei paesi Nato che contano. Ma non da noi, non si sa se per mera insipienza o per nascondere la testa sotto la sabbia. Non lo fa la maggioranza e non fa l'opposizione, che a suo tempo, quando era al governo, era altrettanto miope.
Da noi si preferisce, da sempre, la retorica dell'unità nazionale di fronte ai lutti. E questo significa semplicemente che altre famiglie dovranno aprire la porta ad alti ufficiali e cappellani che recano notizie funeste.

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venerdì 17 luglio 2009

Opposizione di nuovo in piazza





da www.repubblica.it 17 luglio 2009

Manifestazione contro il governo davanti all'università durante la preghiera del venerdì
L'ex presidente della Repubblica contesta Ahmadinejad: "Rilasciare gli oppositori"
Slogan pro Moussavi al sermone di Rafsanjani
La Polizia carica con lacrimogeni e bastoni
Almeno 15 arresti. L'Ayatollah: "La crisi può essere risolta con un presidente voluto dal popolo"
TEHERAN - La contestazione contro Ahmadinejad non abbassa la testa. Tornano in piazza migliaia di sostenitori dell'esponente riformista Mir Hussein Moussavi. Sfidano la polizia e manifestato davanti all'università di Teheran durante il sermone del venerdì dell'Ayatollah Hashemi Rafsanjani. Scandiscono slogan contro il presidente rieletto Ahmadinejad. Gridano "Allah akbar" (Dio è grande), lo stesso grido di protesta che da settimane si sente di notte dai tetti di Teheran. Secondo i testimoni sono centinaia di migliaia, una folla così numerosa da riempire un'area di tre chilometri attorno all'ateneo. La maggior parte della gente neppure è riuscita ad avvicinarsi all'università chiusa attorno ad un cordone di forze di sicurezza.



L'Ayatollah Hashemi Rafsanjani, ex presidente della Repubblica islamica, non risparmia critiche al regime: "In Iran c'è una situazione amara che può essere risolta solo con l'elezione di un presidente che sia voluto dal popolo. Rilasciate subito gli oppositori arrestati. Deve essere creata un'atmosfera di libertà in cui ognuno abbia il diritto di esprimere le sue critiche. Solo così raggiungeremo la soluzione della crisi".

Violenta la reazione della polizia che ha caricato con lacrimogeni e bastoni i manifestanti vestiti di verde o con indosso un braccialetto del colore scelto da Moussavi durante la campagna elettorale. In assetto antisommossa, gli agenti hanno trascinato via almeno 15 manifestanti trascinati nelle prigioni ad ingrossare il numero degli oppositori dietro le sbarre. Nel tentativo di bloccare la diffusione di notizie oltre i confini, i cellulari nel centro di Teheran sono stati disattivati: non è possibile inviare neppure un sms. Secondo il sito pro riformista Moujcamp, i servizi di sicurezza avrebbero pure negato a diversi reporter l'autorizzazione di seguire in diretta il discorso di Rafsanjani.

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Israele sta preparando l'attacco all'Iran


Il "Manifesto" pubblica oggi - 17 luglio, un articolo di Manlio Dinucci dal titolo: "Israele sta preparando l'attacco all'Iran".
Dinucci mette in rilievo la propensione di alcuni esponenti dell'Amministrazione Obama, con in prima fila il Segretario di Stato Hillary Clinton, a giustificare un eventuale attacco del governo israelieano agli impenti nucleari dell'Iran.
Di fronte a ciò conclude il suo pezzo con le seguenti parole: "A questo punto spetta agli analisti capire in che cosa differisca la politica estera dell’amministrazione Obama da quella di Bush".
Noi antimilitaristi satyagrahi ci permettiamo invece di ribadire che la differenza c'è, e che proprio in questi giorni si sta giocando la partita dei militarismi più aggressivi (sia negli USA che in Israele) contro l'obamiano "sviluppo sostenibile", sia pure di tipo "capitalistico".
Questa partita passa, guarda caso, anche per la capacità di "non mollare" dell'Onda Verde iraniana (e nostra di organizzare con essa un "fronte comune" nell'ambito dell'internazionale dei diritti umani, per la liberazione degli oppressi... )

A noi non serve - crediamo - puntare sul peggio, ma moltiplicare gli sforzi autonomi anche comprendendo quali contesti ci offrono maggior respiro ed opportunità più concrete.

Le comunità resistenti sul territorio sono pienamente coinvolte, a partire da quelle che ospitano le basi USA e NATO e/o gli 11 porti che subiscono l'attracco di navi e sommergibili a propulsione atomica (vere centrali nucleari galleggianti).

Le invitiamo a visitare il sito www.osmdpn.it per aggiungersi ai resistenti contro le spese belliche e nucleari!


Clicca per leggere l'articolo di Manlio Dinucci




Testata: Il Manifesto
Data: 17 luglio 2009
Pagina: 9
Autore: Manlio Dinucci
Titolo: «Israele sta preparando l'attacco contro l'Iran»

Lo spiegamento di sottomarini Dolphin e navi da guerra israeliane nel Mar Rosso «deve essere preso sul serio: Israele si sta preparando alla complessità di un attacco all’Iran». Lo ha dichiarato ieri al Times di Londra un funzionario israeliano della difesa.Ha inoltre confermato l’esistenza di un accordo con l’Egitto per il transito delle unità militari dal canale di Suez, aggiungendo che i governi dei due paesi sono uniti da una «comune diffidenza verso l’Iran» e che Israele sta rafforzando i legami con «certi paesi arabi, anch’essi timorosi della minaccia nucleare iraniana». Così Israele, l’unico paese della regione che possiede armi nucleari (di cui sono armati anche iDolphin) e rifiuta il Trattato di non proliferazione (Tnp), simette alla testa di una crociata, cui partecipano anche alcuni governi arabi, contro la «minaccia nucleare» dell’Iran, paese che aderisce al Tnp ed è quindi soggetto ai controlli dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Questa ha confermato di non avere «alcuna prova che l’Iran stia cercando di produrre un’arma nucleare ». I sottomarini e le navi da guerra di Israele sono nelMar Rosso non solo per preparare l’attacco all’Iran, scriveva ieri Haaretz, ma anche «per impedire il traffico di armi dall’Iran alla striscia di Gaza» viamare e quindi attraverso il Sudan. Si accusa quindi l’Iran di armare e fomentare i palestinesi, cancellando quanto emerge dall’inchiesta dell’associazione israeliana «Breaking the Silence», la quale dimostra che l’operazione «Piombo fuso» è stata decisa in base a un preciso calcolo politico per terrorizzare i palestinesi facendo strage di civili. Né è credibile che nella striscia di Gaza, dove non riescono ad entrare neppure gli aiuti umanitari, arrivi un flusso di armi dall’Iran. A dar man forte al governo israeliano è scesa in campo mercoledì la segretaria di stato Usa Hillary Clinton, che ha lanciato un «ultimatum all’Iran» perché «si unisca alla comunità internazionale quale membro responsabile», cessando di «minacciare i vicini e sostenere il terrorismo». Ha ribadito che «l’Iran non ha diritto di avere una capacità nuclearemilitare» (che invece gli Usa hanno diritto di avere, possedendo le forze nucleari più potenti delmondo), e che «gli Usa sono decisi a impedire che l’acquisisca». Ha quindi dichiarato che «non esiteremo a difendere i nostri amici, i nostri interessi e soprattutto il nostro popolo con vigore e, se necessario, con la forza militare più potente del mondo». Ilmessaggio a Tehran è inequivocabile: se Israele attaccherà l’Iran e questo risponderà con i suoi missili (non nucleari), gli Stati uniti sosterranno Israele con «la forza militare più potente del mondo». A questo punto spetta agli analisti capire in che cosa differisca la politica estera dell’amministrazione Obama da quella di Bush.

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giovedì 16 luglio 2009

per la libertà in Iran - 18 luglio 2009

Segnaliamo la seguente iniziativa osservando che:
- tra i promotori non figurano organizzazioni iraniane
- una delle parole d'ordine prospetta un orientamento molto caratterizzato ideologicamente: si parla di "sfiducia assoluta nel sistema degli Stati"
- è comunque importante che si tengano iniziative "per la libertà in Iran", a maggior ragione nel momento in cui evapora la volatile attenzione dei media...

18 luglio 2009 - ore 15:30 - Firenze (FI)
da Milano partenza pullman h. 09.30

manifestazione

Con le donne e uomini per la libertà in Iran
IRAN Sabato 18 luglio Manifestazione nazionale a Firenze

Contro il regime reazionario !

Fermiamo la repressione !

Nessuna fiducia nel sistema degli Stati !

Concentramento ore 16.30 in Piazza San Marco, Firenze









Socialismo Rivoluzionario, Unicobas, Socialismo Libertario, Help to Change (Associazione Umanista) , Partito Umanista (FI), Usi- Ait, Centro delle Culture (FI), Comitato Antirazzista Vite Impegnative (FI), Collettivo Maripose (GE), Perunaltracitta (FI), Ass. IREOS - Centro Servizi Autogestiti Comunità Queer (FI), Comitato Stoprazzismo Prato


Info e adesioni : iranlibero@libero.it
telefono 055-2302015



Per maggiori informazioni:
a.m. 333-7.158207 - lacomunemilano@fastwebnet.it

Scritto da Renato Scarola - di Socialismo Rivoluzionario
Editoriale de La Comune 130
giovedì 09 luglio 2009
Iran: a fianco delle donne e degli uomini in lotta per la libertà



Essere persone solidali, che sentono come propri i destini di tutta l’umanità, vuol dire schierarsi senza esitazioni al fianco delle donne e degli uomini che coraggiosamente in Iran stanno lottando per la libertà.

Sono milioni di persone che stanno esprimendo il loro protagonismo con l’iniziativa diretta, riprendendo lo spirito della rivoluzione che nel ’79 portò alla caduta della dittatura dello Shah e le cui istanze di libertà furono successivamente tradite e soffocate dai suoi capi.


Schierarsi vuol dire immedesimarsi nella lezione di impegno e coraggio che ci stanno trasmettendo scendendo nelle strade, salendo sui tetti, inventandosi i modi più svariati per protestare e comunicare aggirando l’asfissiante censura e sfidando la tremenda repressione dello Stato reazionario e militarista iraniano. Questo esempio e coraggio meritano il nostro appoggio e impegno di solidarietà.

Per questo vale la pena fare la cosa giusta, scegliendo di mobilitarsi il 18 luglio al fianco di questa lotta, come principio di un impegno solidale che dovrà continuare e moltiplicarsi nei prossimi mesi.

Perché le donne e gli uomini iraniani non potranno certo ricevere aiuto dagli Stati che sono guidati da interessi strumentali e contrapposti alle esigenze, ai bisogni e ai sogni della nostra gente: né dagli Stati occidentali e democratici, bellicisti e guerrafondai, che in passato hanno sostenuto la dittatura sanguinaria dello Shah, né da quelli che non esitano ad appoggiare il regime reazionario di Ahmadinejad in nome di un presunto “antimperialismo”.

Viceversa, sfidando il cinismo e l’indifferenza, purtroppo diffusi tra la gente, un’autentica solidarietà può nascere e svilupparsi, tra le donne, i lavoratori, i giovani, i fratelli e le sorelle immigrate. Perché questa lotta ci riguarda e ci coinvolge tutti se abbiamo a cuore i nostri simili. Perché la libertà è un valore umano universale per cui impegnarsi e mobilitarsi.

Il 18 luglio è un passaggio di questo impegno
appassionato, leale e critico di schieramento solidale a fianco di chi in Iran sta lottando per la libertà.

5 luglio 2009

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