giovedì 23 luglio 2009

Milano 24 luglio - 24 ore con gli studenti iraniani


Consolato iraniano di Milano, piazza diaz, dalle ore 17.00, 24 luglio 2009

Gli studenti iraniani, in sciopero della fame, mobilitati in tutto il mondo per una protesta contro le elezioni-truffa e la repressione in occasione del discorso di insediamento di Ahmadinejad, a Milano, dalle ore 17.00, iniziano un presidio lungo 24 ore davanti al consolato di piazza Diaz.
"Lanciamo un appello -dicono - a tutti coloro che difendono il rispetto dei diritti umani. Vi invitiamo a sostenerci e ad appoggiarci nel nostro percorso verso la libertà."
Un modo per esprimere visivamente la solidarietà è portare al braccio un nastro verde.

Alfonso Navarra, della campagna di obiezione di coscienza delle spese militari, è stato invitato a parlare della sua esperienza a Berlino nel 1989, quando partecipò, a fianco dei pacifisti dell'Est Europa, alla rivoluzione democratica che portò all'abbattimento del Muro, nel quadro di una iniziativa internazionale per lo scioglimento dei blocchi militari.

Si ricorda, per sabato 25 luglio, a Roma, la manifestazione di protesta davanti all'ambasciata dell'Iran (ore 17, via Nomentana 361).


dalla URL: http://reporters.blogosfere.it/2009/07/liran-dei-record-e-la-piu-grande-prigione-per-giornalisti-e-blogger.html
"Reporters senza frontiere", 41 prigionieri in Iran: il carcere per blogger, giornalisti e fotoreporter
Di Joshua Evangelista - 23 luglio 2009




Quarantuno. Blogger, giornalisti e fotoreporter iraniani in prigione. Ad un mese dall'inizio delle proteste post elezioni, Reporters senza frontiere esprime tutta la sua preoccupazione, affermando che "quattro degli ultimi cinque arrestati sono nascosti in un posto segreto e, come succede agli altri, i familiari non hanno alcuna notizia sulle loro condizioni. In molti di questi casi, ai prigionieri non è concessa nessuna visita e gli avvocati non possono accedere ai loro fascicoli".
Tra gli ultimi arrestati c'è il fotografo Tohid Bighi del sito Mashroteh (che alle presidenzialisupportava il candidato riformista Mehedi Karoubi), detenuto da sabato senza alcun motivo apparente. Il giorno prima è toccato, fermato davanti casa, al suo collega Majid Saeedi (http://majidsaeedi.com), che nel 2001 aveva fatto un reportage dall'Afghanistan per il Time.

Continua...

martedì 21 luglio 2009

La militarizzazione dell'Iran - una discussione

DA PARTE DI ALFONSO NAVARRA
COORDINAMENTO FERMIAMO CHI SCHERZA COL FUOCO ATOMICO

Caro Pietro Ancona,

Se diamo una mano ad Ahmadinejad ed ai suoi sogni di gloria militare e di potenza facciamo il gioco del militarismo israeliano e di quello americano che non aspettano altro per riaffermare, contro Obama, il loro "war first!"

Se l'Onda Verde sollevatasi a Teheran non molla ma continua a resistere (anche grazie alle contraddizioni interne del regime clerico-fascista) questi piani saltano - fortunatamente - per aria.

(leggi tutto...)



Nelle mie analisi parto solitamente dall'ipotesi sommaria che il nucleare rappresenti 1/5 dell'apparato difensivo USA, per una spesa che si aggira sui 100 miliardi di dollari annua (confermata da una recente relazione del Carnegie Endowment for International Peace, si veda alla URL http://nwoobserver.wordpress.com/ ).

Questo come peso quantitativo.

Qualitativamente va considerato invece lo strumento supremo, il punto centrale della strategia difensiva, che tende oggi a passare dalla deterrenza all'impiegabilità.

In questo contesto possiamo inserire la denuncia di Angelo Baracca sulle "armi misteriose" impiegate a Gaza, di cui parla un servizio di RAINEWS 24.

Il governo israeliano, in questo caso, ha sperimentato per conto del MIC-Military Industrial Complex USA - che va distinto dalla Nazione Americana.

Angelo Baracca, in un suo recente messaggio nella mauling list "rivoluzione scientifica", lancia un allarme nei confronti degli orrori che il "progresso" (?) tecnologico al servizio della guerra sta realizzando.

Baracca cita, ad esempio, notizie su "orripilanti utilizzazioni delle nanotecnologie".

Ed aggiunge: "Da anni cerco di lanciare un allarme sul gravissimo (quanto taciuto) inquinamento radioattivo dell'atmosfera terrestre (ne ho trattato, con molte referenze, sul mio ultimo libro sul nucleare), legato all'aumento ormai inequivocabile delle patologie tumorali".

"Mi convinco sempre di più, afferma in conclusione - che siamo sull'orlo dell'abisso della barbarie più sfrenata e sconsiderata"...

Qual è la risposta, di fronte a questa china che ci porta alla catastrofe?

Alcuni - e tu, Pietro Ancona rientri tra questi - pensano che la strada sia aiutare gli "Stati anti-imperialisti" a inseguire le grandi potenze nella loro corsa distruttiva a più armi e sempre più micidiali.

Da una parte denunciamo il "cattivo" nucleare americano ed israeliano, dall'altra appoggiamo il "diritto" delle Nazioni "proletarie" a farsi la propria Bomba... Questo servirebbe a renderle "autonome"!

E' una visione speculare a quella della sua interlocutrice Barbara Spinelli, nota fondamentalista sionista, per il quale il nucleare "buono" è quello in mano agli "occidentali", "buoni", appunto, per antonomasia e quindi beneficiari dell'"omnia munda mundis".

Viva la democrazia atomica con le Bombe "autonome" in mano a tutti! ed intanto il solo ampliarsi dei cicli produttivi di uranio e plutonio ci condanna tutti al disastro ecologico, anche se le testate dovessero rimanere sempre e solo stipate nei silos.

Al sottoscritto questo orientamento appare un delirio stupido ed autodistruttivo, che poteva avere senso - forse - nel 1968, quando poteva rivendicare credibilità l'idea di ricostuire un "fronte anti-imperialista" intorno alla Repubblica Popolare Cinese, impegnata nella Grande Rivoluzione Culturale Proletaria...

Essendo entrati, per chi non se ne fosse accorto, nel XXI Secolo, avendo constatato il fallimento del "comunismo reale", in presenza del prossimo crollo del "capitalismo reale", abbiamo oggi bisogno di visioni globali che facciano riferimento alla "comune umanità" e di unire gli esseri umani - in prima fila gli "oppressi" - nella lotta contro gli "apparati sociali della potenza".

Questo è il compito dell'oggi per chi intende militare nel "fronte della sopravvivenza della specie".

Le altre battaglie le considero allo stesso livello che riproporre oggi il conflitto guelfi-ghibellini: roba superata, oltre che immonda, che serve solo a legittimare poteri costituiti che dovremmo invece abbattere.

Se diamo una mano ad Ahmadinejad ed ai suoi sogni di gloria militare e di potenza facciamo il gioco del militarismo israeliano e di quello americano che non aspettano altro per riaffermare, contro Obama, il loro "war first!"

Se l'Onda Verde sollevatasi a Teheran non molla ma continua a resistere (anche grazie alle contraddizioni interne del regime clerico-fascista) questi piani saltano - fortunatamente - per aria.

Che i ragazzi e le ragazze come Neda, al pari degli indios e dei contadini in America Latina, siano la speranza per la pace nel mondo è comunque fuori dalla possibilità di comprensione di chi non riesce ad uscire dalla sua vecchia gabbia ideologica, fatta di concetti astratti che, ieri come oggi, sono sempre dalla parte di chi spara contro i poveracci, in nome di ormai sputtanati Paradisi terreni futuri.

La necessità di "rompere l'accerchiamento e l'assedio" come giustificazione di tutte le nefandezze è una storia che conosciamo almeno sin dai tempi di Stalin.

E se Abu Mazen è un "venduto" figuriamoci quanto sono libere ed indipendenti dallo "straniero" le bande di Hamas!

Ma non ti preoccupare, Neda. Le marce ideologie di due secoli fa (il tempo passa...) non riusciranno a seppellirti una seconda volta e a dare lustro di campione popolare al tuo carnefice Ahmadinejad.

I nostri sogni sono semplici, concreti, sono sogni di libertà elementari (poter portare i capelli lunghi: il '68 è nato anche su questo), sono sogni di diritti basilari; sono sogni ed insieme bisogni: per questo, comunque colorati, e senza bisogno di studiare Gene Sharp, ce la faremo.

Per l'intanto ricordiamoci di praticare l'obiezione alle spese militari e nucleari

Info sul sito: www.osmdpn.it



DA PARTE DI PIETRO ANCONA


Cara Dott.ssa Spinelli,

Lei scrive una bellissima prosa ricca di riferimenti culturali. Spesso si ha il piacere, leggendola, di fare una lettura colta, informata, stimolante.

Quando questa bella scrittura è applicata alla dimostrazione di una falsa verità, cioè di una menzogna, è doppiamente riprovevole. E' preferibile la prosa ruvida ed aggressiva di quanti apertamente vogliono e preparano un'altra apocalisse per l'Iran, l'apocalisse per la quale sommergibili israeliani con la complicità dell'Egitto, (il cui regime anche Lei si guarda bene dall'analizzare con lo stesso microscopio che usa per l'Iran),hanno attraversato lo stretto di Suez e si sono piazzati, magari con microbombe nucleari, alle spalle dell'Iran.

Forze navali israeliane, con l'assistenza europea e statunitense, da molti mesi si esercitano al largo di Gibilterra in vista appunto di una aggressione all'Iran.

Lei fa discendere le involuzioni del regime iraniano verso il nazionalismo ed il militarismo da dinamiche interne, come se quanto accade in Iran possa prescindere e non dipenda dalla situazione di accerchiamento internazionale e di isolamento in cui è costretto da anni dall'Occidente. Si potrebbe salvare da ciò se tornasse ad essere come lo Scia il guardiano feroce e sanguinario degli interessi occidentali nell'area e se collaborasse militarmente con gli Usa in Afghanistan. Mousavi e Rafsanjani sono i grimaldelli per distruggere l'autonomia dell'Iran e farne quello che Abu Mazen ha fatto della Gisgiordania, una nazione non "canaglia" ma serva di un padrone che si fa rappresentare in loco dalla enorme e minacciosa potenza atomica israeliana.

Non ho dubbi che l'anelito di libertà e di democrazia dei giovani iraniani sia oggi strumentalizzato alla causa della ennesima rivoluzione colorata attentamente studiata da Gene Sharp e di già applicata con successo in tanti posti di grande interesse strategico per gli Usa come la Georgia, la Bielorussia, l'Ucraina........

La responsabilità dell'indurimento del regime iraniano è dell'Occidente e delle sue politiche di strangolamento di ogni opposizione ad una omologazione sottomessa. Tutti i popoli che si sono dati regimi ideologicamente diversi dal capitalismo hanno subito la stessa tragica sorte. Dalla Russia di Lenin a Cuba di Fidel Castro. Non sappiamo se i comunismi sarebbero stati dittature senza l'accerchiamento delle diverse "guardie bianche". Forse non lo sapremo mai. Di certo,sotto la spada di Damocle dell'invasione e della distruzione non prospera la libertà e con essa la democrazia.

La situazione iraniana è assai pericolosa dal momento che l'Occidente ha spaccato il gruppo dirigente della Rivoluzione ed ha assoldato un'ala peteinista che è assai potente e può darsi che riesca a rovesciare Ahmanidjed ed ad aprirsi alle pretese imperiali degli Usa e del suo pretoriano Israele. In questo caso la popolazione di Gaza continuerà a soffrire la fame e la sete e la prigionia fino alla sua estinzione fisica e magari il Libano, appena qualcuno avrà finito di ricostruirlo, sarà ridotto in macerie per la terza volta. Il destino dell'Iran sarà segnato da governi del genere di quelli che gli americani puntellano con le spade in Irak ed Afganistan.

Che cosa avranno i giovani iraniani dalla vittoria del movimento in corso?

Pietro Ancona





http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=40&ID_articolo=162&ID_sezione=55&sezione=



28/6/2009

L'Apocalisse maschera del potere


BARBARA SPINELLI

Ci sono abitudini simili a bende sugli occhi, che impediscono di vedere. O simili a guinzagli, che accorciano il pensiero annodandolo al conformismo. Il nostro sguardo sull’Iran è prigioniero di queste bende e questi guinzagli, fin dai tempi dello Scià e poi anche dopo la rivoluzione di Khomeini. L’Iran lo identifichiamo ormai da trent’anni con il turbante, con il Corano, con la violenza in nome di Dio, con la religione che s’intreccia alla politica e l’inghiotte. Quando i suoi dirigenti si ergono contro il mondo esterno o contro il proprio popolo, subito tendiamo a scorgere la mano e la mente d’un clero retrogrado. Il suo establishment usiamo chiamarlo religioso, nell’élite sacerdotale ci ostiniamo a non vedere altro che integralismo.

È dagli Anni 50 che le amministrazioni americane sbagliano politica in Persia, suscitando sistematicamente le soluzioni peggiori e trascinando negli errori anche l’Europa. Tanto più urgente è congedarsi da bende e guinzagli, e cominciare a guardare quel che veramente sta succedendo in Iran.

Da quando si sono svolte le elezioni, il 12 giugno, sui tetti delle case si aggirano giovani assetati di libertà che gridano nella notte «Allah Akbar», Dio è grande, aggiungendo immediatamente dopo: «A morte il dittatore», proprio come nel 1979. Sono cittadini che di giorno hanno sfilato per strada contro i brogli elettorali: che hanno smesso la paura, e rischiano la vita parlando con frequenza di sacrificio di sé. Anche Mir Hossein Mousavi, il loro leader, annuncia che resisterà «fino al martirio».

A Qom, che è una delle città sacre dell’Islam sciita di qui partì la rivoluzione khomeinista vive una classe sacerdotale che nella stragrande maggioranza avversa il presidente. Non più di tre, quattro ayatollah lo sostengono, anche se i loro uomini occupano i principali centri di potere (Pasdaran, servizi, giustizia). I massimi teologi del Seminario di Qom hanno scritto una lettera aperta, dopo il voto, in cui dichiarano i risultati «nulli e non avvenuti». Viene da Qom ed è figlio di un ayatollah il presidente del Parlamento Larjiani, ostile a Ahmadinejad. Si è rinchiuso a Qom il numero due dello Stato, l’ayatollah Rafsanjani, per verificare se sia possibile mettere in piedi una maggioranza di religiosi, nel Consiglio degli esperti che presiede, capace di destabilizzare e forse spodestare la Guida suprema, l’ayatollah Khamenei che ancora difende la legittimità di Ahmadinejad. Il Consiglio degli esperti nomina la Guida suprema a vita, ma può destituirla se essa non mostra saggezza. Sembra che Rafsanjani abbia già convinto 40 capi religiosi, sugli 86 che compongono il Consiglio. Nella città religiosa di Mashhad, molti sacerdoti musulmani hanno partecipato alle manifestazioni contro il regime. Non trascurabile è infine il simbolo della resistenza: verde è il colore dell’Islam. Questo significa che non siamo di fronte a una sollevazione contro lo Stato religioso. Per il momento, siamo di fronte a un’insurrezione fatta in nome dell’Islam contro un gruppo dirigente considerato blasfemo e nemico del clero.

Ahmadinejad ha questo vizio blasfemo, agli occhi della maggioranza dei sacerdoti tradizionali e di grandissima parte della popolazione. In lui non si percepisce un leader integralista, ma un dittatore che ha motivazioni tutt’altro che religiose. Il suo potere è innanzitutto militare, e nel frattempo è anche divenuto economico. Le sue parole d’ordine sono improntate a un nazionalismo radicale, estraneo alla spiritualità. Il corrispondente della Frankfurter Allgemeine, Rainer Hermann, è un fine conoscitore del paese e parla di «svolta pakistana»: sotto la presidenza Ahmadinejad, negli ultimi quattro anni, avrebbe preso il potere un’élite che nella sostanza è laica, e che usa la religione non solo per abbattere ogni forma di democrazia ma per distruggere il clero tradizionale.

L’uso della religione è sin da principio politico, in Ahmadinejad.

Fedele alle dottrine apocalittiche dell’ayatollah Mesbah Yazdi, il presidente si dice convinto che l’era dell’ultimo Imam il dodicesimo Imam messianico, il Mahdi occultato da Dio per oltre 1100 anni stia per riaprirsi, con il ritorno del Mahdi. Tutte le apocalissi, anche quelle ebraiche e cristiane, sono rivelazioni che presuppongono tempi torbidi, in cui il male s’intensifica. Anche per la scuola Hakkani, che Yazdi dirige e cui appartengono gli Hezbollah iraniani, il male va massimizzato per produrre il Bene finale. L’ayatollah ha insegnato a Ahmadinejad l’uso del messianesimo a fini politici, non teologici. I politici messianici in genere parlano di Apocalisse non perché credono nella Rivelazione, ma perché nell’Apocalisse il dialogo con Dio è diretto (nell’Apocalisse di Giovanni scompaiono i templi) e il capopopolo non ha più bisogno del clero come intermediario. L’apocalisse serve a escludere il clero dalla politica e forse anche la religione.

Il segno più evidente della svolta laico-pakistana di Ahmadinejad è la militarizzazione del regime. I guardiani della rivoluzione, i Pasdaran, dipendono da lui oltre che da Khamenei. E i picchiatori delle milizie Basiji non sono nati nel fervore religioso ma nel fervore della guerra di otto anni tra Iran e Iraq. I Basiji erano i bambini o i giovanissimi che in quella terribile guerra, tra il 1980 e il 1988, venivano gettati, inermi, nei campi minati dal nemico: perirono in migliaia. Secondo alcuni storici (tra cui lo specialista Hussein Hassan) Ahmadinejad fu il giovane istruttore di quei martiri forzati. Il suo disegno: rompere il singolare equilibrio di poteri tra sovranità popolare-democratica, sovranità religiosa e sovranità militarizzata che caratterizza l’Iran. Un equilibrio ripetutamente violato ma che rispecchia la storia del paese, sempre oscillante fra il costituzionalismo democratico affermatosi nel 1906 e la brama mai spenta di Stato assoluto. Il potere di Ahmadinejad e dei Guardiani è ormai più forte anche presso i più poveri del paese di quello dei Mullah, i sacerdoti che fecero la rivoluzione.

Quel che è avvenuto sotto Ahmadinejad è una sorta di colpo di Stato modernista, che ha intronizzato l’élite formatasi nella guerra contro l’Iraq. È il potere di quest’élite che Ahmadinejad protegge, e esso non coincide con il potere religioso. Tra molti esempi si può citare la decisione di togliere al clero la gestione dei pellegrinaggi e di affidarla al ministero del Turismo: una misura che ha profondamente umiliato i religiosi. L’apocalisse è strumento di lotta molto terreno: nella conferenza stampa dopo le elezioni, Ahmadinejad ha ripetuto la formula d’obbligo che impone di parlare «in nome di Allah il Misericordioso», ma subito dopo ha rotto la tradizione invocando il dodicesimo Imam. Le milizie Basiji da qualche tempo si son tagliate la barba: è un altro segno di ribellione ai Mullah. Nella campagna elettorale, Mousavi si è presentato con il verde dell’Islam e del movimento riformatore. Ahmadinejad con la bandiera nazionale.

È dunque il nazionalismo militarizzato, il regime che oggi vacilla e sta riducendo al silenzio i riformatori. È il nazionalismo che si è abbarbicato all’atomica, e fatica a negoziare su di essa. Ma l’atomica è al tempo stesso la risposta dell’Iran intero ai tanti errori di valutazione dell’Occidente e alla cecità delle amministrazioni Usa, che mai hanno capito le riforme di cui questo paese aveva bisogno (non lo capirono con il Premier Mossadeq, che spodestarono nel 1953 per tutelare lo Scià e le vie del petrolio; non lo capirono quando minacciarono Teheran nonostante al governo ci fossero riformatori come Rafsanjani o Khatami). La sfida atomica iraniana non verrà meno, il giorno in cui vincessero i riformatori. Ma almeno non sarà al servizio del più tremendo dei nazionalismi: quello che sceglie come maschera l’Apocalisse.

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domenica 19 luglio 2009

Il 25 luglio G-Day per la libertà in Iran





Iran: 25 Luglio 2009. Global Day of Action - Roma


In difesa della Democrazia, dei Diritti Umani e per un futuro migliore. Noi, studenti iraniani, liberi da ogni legame partitico, manifestiamo contro la manipolazione dei risultati elettorali nel nostro Paese.
Il 25 luglio si terrà il discorso di insediamento di Ahmadinejad, che non riconosciamo come presidente legittimo della Repubblica islamica dell’Iran. Da settimane stiamo manifestando in tutta Italia, come i nostri connazionali nel resto del mondo, per condannare ogni violenza perpetrata contro i civili e gli studenti che manifestano nel nostro Paese.
Indiciamo quindi, in occasione del discorso di insediamento di Ahmadinejad, una manifestazione nazionale a Roma davanti l’ambasciata della Repubblica islamica dell’Iran che si svolgerà a partire dalle ore 17.00.
Gli eventi delle ultime settimane hanno visto una violenta repressione nei confronti di chi pacificamente è sceso in piazza in segno di protesta contro quelli che ormai appaiono evidenti brogli elettorali. Neda, Sohorab e centinaia di altri nostri fratelli sono stati uccisi. Migliaia di cittadini, studenti, esponenti politici, giornalisti e bloggers iraniani sono stati arrestati. Il governo di Ahmadinejad sta praticando una forte censura sulla stampa e la televisione, blocca i siti internet e l’invio di sms, ledendo così la libertà di espressione e di informazione. Le città di tutto il Paese sono ormai militarizzate.
Tutto ciò è in evidente contraddizione con le più elementari forme di democrazia e di libertà, oltre a essere in palese contrasto con i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e con la stessa Costituzione (Ghanoon-e-assassi) della Repubblica islamica dell’Iran.
Indiciamo quindi, in occasione del discorso di insediamento di Ahmadinejad, una manifestazione nazionale a Roma davanti l’ambasciata della Repubblica islamica dell’Iran che si svolgerà a partire dalle ore 17.00.
Invitiamo tutti i cittadini italiani, le associazioni, i movimenti e i partiti politici a sostenerci partecipando alla manifestazione. Chiediamo, tuttavia, che non siano presenti segni distintivi dei singoli partiti politici affinché la manifestazione possa avere un carattere il più inclusivo possibile. Chiediamo invece che ogni partecipante porti con sé qualcosa di verde, simbolo del movimento.
Noi andremo avanti! Fatelo con noi!
Studenti iraniani in Italia
Roma, 25 luglio 2009
Ore 17.00
Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran
Via Nomentana, 361


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Protezione iraniana sull'Italia in Afghanistan

Da parte del Coordinamento FERMIAMO CHI SCHERZA COL FUOCO ATOMICO

Quello che Dal Lago non ricorda nel suo articolo per il "Manifesto" del 16-7-09 (di seguito riportato) è che le truppe italiane nell'Afghanistan si sono piazzate nella regione di Herat, praticamente sotto - condizionata - protezione iraniana.
Va premesso che il nostro Paese è il principale partner commerciale dell'Iran nel mondo: questo conterà pur qualcosa. Importa petrolio. E lascia che la droga fluisca dall'Afghanistan all'Europa, passando appunto per l'Iran via Herat...


Giorgio Beretta, della RID, ci ricorda qualche dato sull'interscambio Italia-Iran: "Da una ricerca di Unimondo sul database del commercio estero dell'Istat, nel solo 2008 l'Italia ha esportato in Iran merci per un valore di oltre 13,6 miliardi di euro. E la progressione è crescente: si passa dai poco meno di 200 milioni di euro del gennaio 2008 a quasi 2,2 miliardi di dicembre dello stesso anno. La bilancia commerciale è comunque a favore di Teheran: nel 2008 L'italia ha infatti importato merci - e soprattutto petrolio - per un valore di oltre 25 miliardi di euro".
L'Italia nell'Herat in cui si è stabilita gestisce il PRT (Provincial Reconstruction Team) ed è responsabile delle quattro province della sua regione Ovest.
Le popolazioni qui, pur essendo di religione sunnita, parlano però la lingua "dari", variante del persiano, le loro organizzazioni guardano a Teheran, ma confinano con la ostile presenza pashtun.
Farah, la provincia dove è morto il parà italiano, confina con lo Helmand, dove Obama ha scatenato la sua "grande offensiva" in vista delle elezioni del 20 agosto e dove l'"insorgenza pashtun" è forte, dura e bene organizzata.
Nella città di Farah gli americani hanno realizzato una nuova base.
Margherita Paolini, su Limes 3/07 "Mai dire Guerra" (l'articolo è intitolato "Per non perdere l'Afghanistan") svolge, a proposito di essa - base - le seguenti considerazioni:
"(La base sorge) a 45 km dalla frontiera iraniana, certamente in funzione più antiraniana che antitalibana, visto che in questa zona essi non dispongono di importanti retroterra. La base è posizionata in modo da controllare anche l’asse che collega Herat con l’importante centro gasifero di Mary in Turkmenistan. Su questo asse viaggia la ferrovia che garantisce i nostri rifornimenti, in parte assicurati anche via aria grazie ai corridoi aerei concessi dagli iraniani. Nel caso di una guerra «preventiva» Usa-Iran, le nostre truppe si troverebbero in una delle aree più esposte alle rappresaglie dei pasdaran lungo tutto il confine di 630 chilometri che la regione di Herat divide con l’Iran".
Il Ministro Frattini sostiene che per l'Iran passa il 40% della produzione degli oppiacei prodotti in Afghanistan, droga diretta al mercato europeo (fonte: Reuters - 27 Giugno 2009). Molti analisti, lo ricordiamo ancora, hanno il sospetto che l'Italia chiuda gli occhi su questi traffici...
Negli ultimi mesi il contingente italiano è cresciuto numericamente fino a contare 3.300 soldati, si è dotato di mezzi come 4 aerei Tornado e una squadra di elicotteri Mangusta, mentre l’impegno operativo è aumentato notevolmente con l’eliminazione dei caveat che ne limitavano l’impiego. I parà conducono da maggio anche azioni offensive al fianco delle truppe Kabul con l’obiettivo di strappare ai talebani il controllo di alcune aree del territorio. Cioè lo stesso compito assegnato a britannici e americani a Helmand e in altre province del sud e dell’est afgano dal comando alleato di Kabul che punta ad estendere al massimo il presidio del territorio in vista, come si è detto, delle elezioni presidenziali del 20 agosto.
Ma i nostri militari sono coinvolti negli scontri a fuoco essenzialmente per la seguente dinamica: l'offensiva nello Helmand delle truppe anglo-americane costringe i taleban a spostarsi nei "nostri" territori dello Herat: qui gli "alleati" si aspettano che noi spariamo loro addosso...
Gli iraniani vogliono invece che non diamo troppo fastidio agli insorti. Che fare, dunque? Possiamo ancora pretendere di stare in mezzo ad una guerra, tra vari fuochi, fingendo che siamo lì ad edificare ospedali e a distribuire caramelle ai bambini?
A Herat sono attualmente attive nel "settore di assistenza alle fasce vulnerabili" due Ong italiane: Intersos e Cesvi. Entrambe realizzano progetti, finanziati dalla DG Cooperazione allo Sviluppo, nella città di Herat e nei distretti limitrofi, promuovendo "corsi di formazione professionale, attività di auto sostentamento nel settore agro pastorale, assistenza e reinserimento sociale dei profughi afgani rientrati dall’Iran".
Questa presenza è presentata dalla DGCS come un "esempio di cooperazione civile-militare" (Fonte: DG Cooperazione Italiana allo Sviluppo).
Quella che chi lavora per i Corpi civili di Pace francamente dovrebbe invece evitare come la peste, almeno in questa fase in cui la politica militare italiana è coinvolgimento (subalterno) nella "guerra al terrore"...
E qui ribadiamo il solito discorso, contrapposto a qualsiasi tipo di interventismo militare: dobbiamo lasciare l'Afghanistan agli afghani! Quanto prima e quanto più completamente ci togliamo dai piedi meglio è.
Questo significa:
1- ritirare tutti i nostri "caritatevoli" soldati, anche quelli "europei" che, con le migliori intenzioni, volessero fare da usbergo ai signori della guerra;
2- colpire, invece, i signori della guerra: a) andando a scovare qui trafficoni (militaristi) e trafficanti (criminali) con cui essi - i lords of war - sono in combutta; b) acquistando a prezzo equo dai contadini afghani l'oppio che ci serve come medicinale; c) liberalizzando da noi le droghe "leggere" e legalizzando le droghe "pesanti".
Non ci siamo ancora stancati della "solidarietà" che vuole risolvere i problemi dei "sottosviluppati", nel presupposto che noi siamo i forti e i civili e gli altri sono deboli e minus habens?
Noi e i contadini afghani abbiamo un problema comune su cui possiamo impostare, alla pari, una lotta comune: stroncare insieme il traffico internazionale della droga; ed il proibizionismo che ne costituisce la base legale.
Dobbiamo conoscerci - le società civili - e dialogare per costruire, da pari a pari, una nuova internazionale dei diritti umani sulla base della centralità degli oppressi.
A questo potrebbe servire una Ambasciata di pace a Kabul.
Non a fare la "resistenza" per la ricostruzione al posto degli altri: le "resistenze", allo stesso modo delle democrazie, non si esportano. La soluzione, ce lo dice una esperienza pluri-secolare, risulterebbe peggiore dei problemi a cui si vorrebbe porre riparo...
Per l'intanto c'è da ribadire comunque l'impegno a battersi per il ritiro incondizionato di tutte le truppe della NATO, da questo e dagli altri fronti della "guerra al terrore".
E da proporre a tutto il movimento no-war l'obiezione alle spese militari (vai sul sito www.osmdpn.it) come forma di protesta e di resistenza al nostro coinvolgimento bellico.
Una forma che potrebbe e dovrebbe interessare anche i movimenti della resistenza territoriale, perchè la contestazione e la riduzione delle spese militari e belliche indebolisce lo Stato autoritario, con le sue "Grandi Opere" invasive ed oppressive; e libera risorse per le autentiche necessità sociali.


fonte il manifesto del 16/07/09

AFGHANISTAN, «EXIT STRATEGY» DEL SILENZIO
Alessandro Dal Lago

Mentre Obama inizia a parlare, anche se con grandissima cautela, di una qualche exit strategy dall'Afghanistan, in Italia tutte le massime autorità dello stato e del governo si affrettano a riaffermare la fedeltà alla missione Nato.
Nulla come questa discrepanza rivela l'assoluta marginalità del nostro paese nelle questioni strategiche e la subordinazione a prescindere, mentale oltre che politica, alla Nato e agli Stati Uniti.
Così è andata con l'Iraq e così continuerà ad andare. L'unica differenza è che, a ogni soldato ucciso, cade un altro velo di ipocrisia. Quella a cui l'Italia partecipa, con forze destinate ad aumentare, non è un'operazione di mantenimento della pace o di «nation building», con i nostri bravi ragazzi che distribuiscono viveri e costruiscono scuole, ma una guerra vera e propria condotta in condizioni proibitive in un paese da cui, negli ultimi trecento anni, nessun esercito straniero è uscito vincitore. Una guerra che, ovviamente, porterà altri lutti in un paese come il nostro, che combatte ma non lo vuole ammettere.
Da mesi osservatori e anche autorità militari dei paesi più coinvolti (per esempio, gli inglesi) dichiarano che la guerra si è impantanata e che in realtà americani e Nato controllano, a parte l'area di Kabul, e altre poche enclaves, solo le basi militari. Ma le ragioni dello stallo (o, meglio, di una strisciante sconfitta strategica) non sono solo militari - come la mancanza di obiettivi precisi, o l'illusione di venire a capo con i bombardamenti «mirati» e le forze speciali di una resistenza radicata evidentemente nel tessuto sociale pashtun.
Sono soprattutto politiche: il governo Karzai è notoriamente corrotto e, per arginare l'influenza dei talebani, viene a patti con le forze più conservatrici, ciò che lo rende sempre meno popolare. Inoltre, i massacri di prigionieri compiuti da alcuni signori della guerra (con la complicità americana) nel 2001 hanno radicato in vaste parti del paese un odio per gli occidentali che non si spiega solo con la propaganda dei talebani.
Obama, ovviamente, ne è consapevole, ma al tempo stesso è costretto a gestire l'eredità avvelenata di Bush: le conseguenze della guerra in Iraq (con il conflitto tra sunniti e sciiti), la crisi del regime iraniano (che impedisce in questa fase qualsiasi negoziato sulla questione nucleare) e il rebus pakistano compongono un puzzle strategico insolubile.
Di conseguenza, l'idea di uscire dall'Afghanistan delegando alcune funzioni civili e militari all'inetto governo Karzai suona più come un mettere le mani avanti che non come una vera prospettiva praticabile a breve termine.
Di tutto questo si discute anche aspramente, negli Usa e nei paesi Nato che contano. Ma non da noi, non si sa se per mera insipienza o per nascondere la testa sotto la sabbia. Non lo fa la maggioranza e non fa l'opposizione, che a suo tempo, quando era al governo, era altrettanto miope.
Da noi si preferisce, da sempre, la retorica dell'unità nazionale di fronte ai lutti. E questo significa semplicemente che altre famiglie dovranno aprire la porta ad alti ufficiali e cappellani che recano notizie funeste.

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venerdì 17 luglio 2009

Opposizione di nuovo in piazza





da www.repubblica.it 17 luglio 2009

Manifestazione contro il governo davanti all'università durante la preghiera del venerdì
L'ex presidente della Repubblica contesta Ahmadinejad: "Rilasciare gli oppositori"
Slogan pro Moussavi al sermone di Rafsanjani
La Polizia carica con lacrimogeni e bastoni
Almeno 15 arresti. L'Ayatollah: "La crisi può essere risolta con un presidente voluto dal popolo"
TEHERAN - La contestazione contro Ahmadinejad non abbassa la testa. Tornano in piazza migliaia di sostenitori dell'esponente riformista Mir Hussein Moussavi. Sfidano la polizia e manifestato davanti all'università di Teheran durante il sermone del venerdì dell'Ayatollah Hashemi Rafsanjani. Scandiscono slogan contro il presidente rieletto Ahmadinejad. Gridano "Allah akbar" (Dio è grande), lo stesso grido di protesta che da settimane si sente di notte dai tetti di Teheran. Secondo i testimoni sono centinaia di migliaia, una folla così numerosa da riempire un'area di tre chilometri attorno all'ateneo. La maggior parte della gente neppure è riuscita ad avvicinarsi all'università chiusa attorno ad un cordone di forze di sicurezza.



L'Ayatollah Hashemi Rafsanjani, ex presidente della Repubblica islamica, non risparmia critiche al regime: "In Iran c'è una situazione amara che può essere risolta solo con l'elezione di un presidente che sia voluto dal popolo. Rilasciate subito gli oppositori arrestati. Deve essere creata un'atmosfera di libertà in cui ognuno abbia il diritto di esprimere le sue critiche. Solo così raggiungeremo la soluzione della crisi".

Violenta la reazione della polizia che ha caricato con lacrimogeni e bastoni i manifestanti vestiti di verde o con indosso un braccialetto del colore scelto da Moussavi durante la campagna elettorale. In assetto antisommossa, gli agenti hanno trascinato via almeno 15 manifestanti trascinati nelle prigioni ad ingrossare il numero degli oppositori dietro le sbarre. Nel tentativo di bloccare la diffusione di notizie oltre i confini, i cellulari nel centro di Teheran sono stati disattivati: non è possibile inviare neppure un sms. Secondo il sito pro riformista Moujcamp, i servizi di sicurezza avrebbero pure negato a diversi reporter l'autorizzazione di seguire in diretta il discorso di Rafsanjani.

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Israele sta preparando l'attacco all'Iran


Il "Manifesto" pubblica oggi - 17 luglio, un articolo di Manlio Dinucci dal titolo: "Israele sta preparando l'attacco all'Iran".
Dinucci mette in rilievo la propensione di alcuni esponenti dell'Amministrazione Obama, con in prima fila il Segretario di Stato Hillary Clinton, a giustificare un eventuale attacco del governo israelieano agli impenti nucleari dell'Iran.
Di fronte a ciò conclude il suo pezzo con le seguenti parole: "A questo punto spetta agli analisti capire in che cosa differisca la politica estera dell’amministrazione Obama da quella di Bush".
Noi antimilitaristi satyagrahi ci permettiamo invece di ribadire che la differenza c'è, e che proprio in questi giorni si sta giocando la partita dei militarismi più aggressivi (sia negli USA che in Israele) contro l'obamiano "sviluppo sostenibile", sia pure di tipo "capitalistico".
Questa partita passa, guarda caso, anche per la capacità di "non mollare" dell'Onda Verde iraniana (e nostra di organizzare con essa un "fronte comune" nell'ambito dell'internazionale dei diritti umani, per la liberazione degli oppressi... )

A noi non serve - crediamo - puntare sul peggio, ma moltiplicare gli sforzi autonomi anche comprendendo quali contesti ci offrono maggior respiro ed opportunità più concrete.

Le comunità resistenti sul territorio sono pienamente coinvolte, a partire da quelle che ospitano le basi USA e NATO e/o gli 11 porti che subiscono l'attracco di navi e sommergibili a propulsione atomica (vere centrali nucleari galleggianti).

Le invitiamo a visitare il sito www.osmdpn.it per aggiungersi ai resistenti contro le spese belliche e nucleari!


Clicca per leggere l'articolo di Manlio Dinucci




Testata: Il Manifesto
Data: 17 luglio 2009
Pagina: 9
Autore: Manlio Dinucci
Titolo: «Israele sta preparando l'attacco contro l'Iran»

Lo spiegamento di sottomarini Dolphin e navi da guerra israeliane nel Mar Rosso «deve essere preso sul serio: Israele si sta preparando alla complessità di un attacco all’Iran». Lo ha dichiarato ieri al Times di Londra un funzionario israeliano della difesa.Ha inoltre confermato l’esistenza di un accordo con l’Egitto per il transito delle unità militari dal canale di Suez, aggiungendo che i governi dei due paesi sono uniti da una «comune diffidenza verso l’Iran» e che Israele sta rafforzando i legami con «certi paesi arabi, anch’essi timorosi della minaccia nucleare iraniana». Così Israele, l’unico paese della regione che possiede armi nucleari (di cui sono armati anche iDolphin) e rifiuta il Trattato di non proliferazione (Tnp), simette alla testa di una crociata, cui partecipano anche alcuni governi arabi, contro la «minaccia nucleare» dell’Iran, paese che aderisce al Tnp ed è quindi soggetto ai controlli dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Questa ha confermato di non avere «alcuna prova che l’Iran stia cercando di produrre un’arma nucleare ». I sottomarini e le navi da guerra di Israele sono nelMar Rosso non solo per preparare l’attacco all’Iran, scriveva ieri Haaretz, ma anche «per impedire il traffico di armi dall’Iran alla striscia di Gaza» viamare e quindi attraverso il Sudan. Si accusa quindi l’Iran di armare e fomentare i palestinesi, cancellando quanto emerge dall’inchiesta dell’associazione israeliana «Breaking the Silence», la quale dimostra che l’operazione «Piombo fuso» è stata decisa in base a un preciso calcolo politico per terrorizzare i palestinesi facendo strage di civili. Né è credibile che nella striscia di Gaza, dove non riescono ad entrare neppure gli aiuti umanitari, arrivi un flusso di armi dall’Iran. A dar man forte al governo israeliano è scesa in campo mercoledì la segretaria di stato Usa Hillary Clinton, che ha lanciato un «ultimatum all’Iran» perché «si unisca alla comunità internazionale quale membro responsabile», cessando di «minacciare i vicini e sostenere il terrorismo». Ha ribadito che «l’Iran non ha diritto di avere una capacità nuclearemilitare» (che invece gli Usa hanno diritto di avere, possedendo le forze nucleari più potenti delmondo), e che «gli Usa sono decisi a impedire che l’acquisisca». Ha quindi dichiarato che «non esiteremo a difendere i nostri amici, i nostri interessi e soprattutto il nostro popolo con vigore e, se necessario, con la forza militare più potente del mondo». Ilmessaggio a Tehran è inequivocabile: se Israele attaccherà l’Iran e questo risponderà con i suoi missili (non nucleari), gli Stati uniti sosterranno Israele con «la forza militare più potente del mondo». A questo punto spetta agli analisti capire in che cosa differisca la politica estera dell’amministrazione Obama da quella di Bush.

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giovedì 16 luglio 2009

per la libertà in Iran - 18 luglio 2009

Segnaliamo la seguente iniziativa osservando che:
- tra i promotori non figurano organizzazioni iraniane
- una delle parole d'ordine prospetta un orientamento molto caratterizzato ideologicamente: si parla di "sfiducia assoluta nel sistema degli Stati"
- è comunque importante che si tengano iniziative "per la libertà in Iran", a maggior ragione nel momento in cui evapora la volatile attenzione dei media...

18 luglio 2009 - ore 15:30 - Firenze (FI)
da Milano partenza pullman h. 09.30

manifestazione

Con le donne e uomini per la libertà in Iran
IRAN Sabato 18 luglio Manifestazione nazionale a Firenze

Contro il regime reazionario !

Fermiamo la repressione !

Nessuna fiducia nel sistema degli Stati !

Concentramento ore 16.30 in Piazza San Marco, Firenze









Socialismo Rivoluzionario, Unicobas, Socialismo Libertario, Help to Change (Associazione Umanista) , Partito Umanista (FI), Usi- Ait, Centro delle Culture (FI), Comitato Antirazzista Vite Impegnative (FI), Collettivo Maripose (GE), Perunaltracitta (FI), Ass. IREOS - Centro Servizi Autogestiti Comunità Queer (FI), Comitato Stoprazzismo Prato


Info e adesioni : iranlibero@libero.it
telefono 055-2302015



Per maggiori informazioni:
a.m. 333-7.158207 - lacomunemilano@fastwebnet.it

Scritto da Renato Scarola - di Socialismo Rivoluzionario
Editoriale de La Comune 130
giovedì 09 luglio 2009
Iran: a fianco delle donne e degli uomini in lotta per la libertà



Essere persone solidali, che sentono come propri i destini di tutta l’umanità, vuol dire schierarsi senza esitazioni al fianco delle donne e degli uomini che coraggiosamente in Iran stanno lottando per la libertà.

Sono milioni di persone che stanno esprimendo il loro protagonismo con l’iniziativa diretta, riprendendo lo spirito della rivoluzione che nel ’79 portò alla caduta della dittatura dello Shah e le cui istanze di libertà furono successivamente tradite e soffocate dai suoi capi.


Schierarsi vuol dire immedesimarsi nella lezione di impegno e coraggio che ci stanno trasmettendo scendendo nelle strade, salendo sui tetti, inventandosi i modi più svariati per protestare e comunicare aggirando l’asfissiante censura e sfidando la tremenda repressione dello Stato reazionario e militarista iraniano. Questo esempio e coraggio meritano il nostro appoggio e impegno di solidarietà.

Per questo vale la pena fare la cosa giusta, scegliendo di mobilitarsi il 18 luglio al fianco di questa lotta, come principio di un impegno solidale che dovrà continuare e moltiplicarsi nei prossimi mesi.

Perché le donne e gli uomini iraniani non potranno certo ricevere aiuto dagli Stati che sono guidati da interessi strumentali e contrapposti alle esigenze, ai bisogni e ai sogni della nostra gente: né dagli Stati occidentali e democratici, bellicisti e guerrafondai, che in passato hanno sostenuto la dittatura sanguinaria dello Shah, né da quelli che non esitano ad appoggiare il regime reazionario di Ahmadinejad in nome di un presunto “antimperialismo”.

Viceversa, sfidando il cinismo e l’indifferenza, purtroppo diffusi tra la gente, un’autentica solidarietà può nascere e svilupparsi, tra le donne, i lavoratori, i giovani, i fratelli e le sorelle immigrate. Perché questa lotta ci riguarda e ci coinvolge tutti se abbiamo a cuore i nostri simili. Perché la libertà è un valore umano universale per cui impegnarsi e mobilitarsi.

Il 18 luglio è un passaggio di questo impegno
appassionato, leale e critico di schieramento solidale a fianco di chi in Iran sta lottando per la libertà.

5 luglio 2009

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giovedì 9 luglio 2009

9 luglio di lotta contro il regime


Oggi, giovedi 9 luglio, è stata una giornata di lotta per tutti gli iraniani che, all'interno e fuori del loro Paese, si oppongono alla ulteriore degenerazione del regime teocratico. Anche in Italia, organizzate dai giovani iraniani, si sono svolte manifestazioni e sit-in in varie città. Ad esempio a Milano. I radicali italiani si stanno mobilitando alla loro maniera "occidentalista", al contrario dei "pacifisti" che, disgraziatamente, spesso confondono l'"anti-imperialismo" con l'anti-americanismo...
Si è ricordata la protesta studentesca che 10 anni fa fu stroncata con un massacro. Si è ribadito che oggi la lotta per la libertà non si lascia spegnere dalle uccisioni, dagli arresti, dalle torture, dalla censura.
Il governo Ahmadinejad sta gestendo con grande brutalità una specie di legge marziale, e sta scatenando la repressione contro oppositori e semplici dissenzienti, infierendo particolarmente contro le categorie dei giornalisti, degli avvocati, dei pacifici difensori dei diritti umani.
Gli "anti-imperialisti", ad esempio, sono invitati a sostenere il movimento iraniano per la democrazia e a contribuire, dalla parte degli oppressi, alla prevenzione della possibile guerra nucleare limitata (che, se scoppierà, sarà frutto della convergenza, per nulla paradossale, degli opposti militarismi, israeliano ed iraniano).Per quanto riguarda i "Satyagrahi", ribadisco che qui non si tratta di solidarietà, ma di impegno diretto e "strategico" per contribuire alla soluzione del problema oggi maggiormente impattante sugli equilibri pace-guerra a livello globale.

(Sul nostro blog puoi firmare l'impegno a non lasciare sola l'Onda di Teheran).



IRAN. STUDENTI IRANIANI E CONSIGLIERI COMUNALI ACCENDONO CANDELA IN PIAZZA SCALA, POI MINUTO DI SILENZIO A PALAZZO MARINO

Milano, 9 luglio 2009 –


Oggi, giovedì 9 luglio, alle ore 16.15, in piazza della Scala, gli studenti iraniani di Milano hanno acceso una candela per il popolo dell’Iran nel decimo anniversario della grande manifestazione di piazza a Teheran il 9 luglio 1999, in cui oltre venti ragazzi persero la vita. Hanno ricevuto la solidarietà ufficiale del Consiglio Comunale di Milano. Il Presidente del Consiglio Manfredi Palmeri è intervenuto insieme al portavoce del comitato “Una via per gli studenti iraniani” Daniele Nahum. In aula i consiglieri hanno dedivato un minuto di silenzio con un pensiero a tutte le vittime e, in particolare a Neda, la ragazza uccisa lo scorso giugno e divenuta il simbolo dell’attuale protesta contro il regime in Iran.



Dal sito di "Repubblica" apprendiamo che a Teheran la polizia avrebbe sparato ancora sui manifestanti uccidendone 2 e ferendone 12... (vedi post che riporta l'articolo)

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La testimonianza diretta di due giornalisti frre lance che sono tornati da poco dall'Iran. Per motivi di sicurezza non pubblichiamo i loro nomi


IRAN/I figli della Rivolta


Teheran è una ferita aperta su cui il governo iraniano continua a versare sale e il bruciore è insopportabile. Teheran è il segno evidente di una spaccatura che attraversa l'Iran dividendo in maniera pericolosamente netta la popolazione delle grandi città da quella dei piccoli paesi disseminati sullo sterminato territorio nazionale. Teheran, come trenta anni fa, è la necessità di un cambiamento, un'istanza di progresso e di libertà che il governo teocratico cerca di affogare nella violenza e nel sangue.
Siamo arrivati nella capitale dieci giorni prima delle elezioni e fin da subito abbiamo potuto vedere l'energia che animava la vita pubblica della città. Le strade della capitale erano il teatro di quella che sembrava una festa permanente più che una campagna elettorale. La gente per strada paralizzava la città sfilando in caroselli di musica e danze. Nessuna violenza tra le opposte fazioni, nessuna aggressività. Un trionfo di pubblica vitalità, la sensazione che si festeggiasse, in primis, la possibilità stessa di poter esternare le proprie idee e il proprio entusiasmo.

Il governo si è guardato bene dall'autorizzare quello che con il passare dei giorni è diventato un fiume in piena e poi una marea di partecipazione alla vita politica del paese, altro non ha potuto che osservare con stupore l'entità di un fenomeno che vedeva, per la prima volta in trenta anni, la gente riversarsi spontaneamente per le strade reclamando uno spazio di partecipazione e di condivisione.
Noi non parliamo persiano e non siamo capaci di leggerlo ma a poche ore dall'atterraggio un colore, il verde, e un suono, "Moussavi" ci accolgono in quella che è, a tutti gli effetti, una città in festa, ansiosa di un cambiamento.
Nessuno in Iran ha creduto che Moussavi potesse essere una radicale soluzione ai problemi del paese, ma l'agognato avvento del leader riformatore era considerato come il primo indispensabile passo per quello che avrebbe potuto essere un nuovo corso della repubblica islamica. Non è una rivoluzione che i giovani della capitale chiedono a viva voce, ma un'alternativa, uno snodo che consenta al paese di procedere su un altro binario, in un'altra direzione.

Ventiquattro ore dopo le elezioni Teheran piomba nel silenzio. Prima arriva la delusione, cocente; poi i dubbi, gli interrogativi leciti su numeri e tempi. Le elezioni del 12 Giugno sono state le più partecipate della storia della repubblica Islamica ma contemporaneamente quelle con lo spoglio più veloce. L'ufficiale sostegno della guida spirituale al presidente Ahmadinejad e la fretta con cui viene proclamata una vittoria "pulita" trasformano lo sconforto in rabbia e indignazione. Mentre la guida spirituale si affretta a vietare qualsiasi forma di protesta contro il risultato elettorale, il popolo iraniano fa per la prima volta in trent'anni pratica di disobbedienza e, spronata dallo sconfitto leader dei riformisti, si riversa in strada contestando i brogli, chiedendo nuove elezioni e denunciando a gran voce la violazione del più elementare dei diritti repubblicani: quello di poter decidere i propri rappresentanti. Il 14 giugno il risultato è ormai ufficiale e irrevocabile. Il giorno seguente una folla oceanica si riversa in strada: non ci sono solo i sostenitori dello "sconfitto" leader riformista ma anche persone che non hanno neanche votato. Non ci sono solo i giovani, quelli che sono stati definiti prima teppisti e poi terroristi e mokhareb (nemici di Dio e quindi passibili di pena capitale), ma donne e anziani che si sentono traditi, defraudati della loro possibilità decisionale.
C'è chi ha parlato di un milione di persone in corteo, chi ha parlato di due o più, ci è impossibile stabilire una cifra attendibile ma quella folla ha insegnato al governo la paura, ha mostrato chiaramente un dissenso attivo e deciso che sfida il terrore con cui il governo tiene quotidianamente a bada la popolazione. La sensazione è che la gente abbia risposto in maniera convinta a quello che è stato percepito come un affronto, un tradimento. Il corteo, pacifico, composto di gente armata solo di slogan e coraggio è stato oggetto di una repressione brutale, la cifra di sette morti dichiarati dal governo e dalla stampa appare, dalle testimonianze dirette che abbiamo raccolto, ottimistico anche se ci è impossibile stabilire un numero, seppur orientativo. Ci sembra lecito interrogarci sulla natura stessa di un governo che per legittimarsi ha bisogno di massacrare cittadini inermi, che per ratificare un risultato elettorale risponde con brutali pestaggi e spara su un corteo di cittadini che altro non chiede che trasparenza e giustizia. Ciò che si scorge, oltre la manifesta dimostrazione di forza e violenza, è la paura, una crepa che mette in luce una palese fragilità.
Il clima cambia completamente in città e noi, entrati nel paese come semplici turisti impariamo, in piccola parte, la paura che qui nella "repubblica" islamica è pane amaro e quotidiano. Cerchiamo nel nostro piccolo di raccogliere testimonianze, di parlare con le persone, di capire i confini e l'entità di ciò che accade, "nessuno lo sa" ci rispondono, ma non c'è solo paura negli sguardi e nelle parole delle persone, c'è entusiasmo, eccitazione per quella che sembra un'occasione unica di crescita e di cambiamento. Il conflitto si intensifica, si generalizza, si dipana, e le istanze si stratificano senza amalgamarsi ma riunendosi seppur in modo confuso e scoordinato in un'ondata di dissenso che quotidianamente si infrange sul muro della repressione. Il governo si sente minacciato e minaccia, porta il buio in città, oscura i media, vieta ai giornalisti di documentare ciò che accade, rende inutilizzabili internet e telefoni per gran parte del giorno, arriva in certi casi a cessare la fornitura di energia elettrica. Quello che abbiamo visto nel buio è il coraggio, un coraggio che sembra sfiori l'incoscienza ma che in realtà è il risultato della consapevolezza e di una necessità impellente, quella di resistere.
Ogni sera fino a pochi giorni fa, quando siamo stati costretti ad abbandonare il paese, tra le 22 e le 22 e 30 la gente di Teheran si sposta sui tetti delle case per manifestare il proprio dissenso. Al grido di "Allah u Akbar" il popolo di Teheran tiene vivo il fuoco della rivolta, ribadisce il proprio diritto e la propria determinazione a manifestare dissenso, di casa in casa, di tetto in tetto le grida si inseguono, riempiono l'aria rinvigoriscono quanti si preparano di nuovo a scendere in strada, a sfidare il terrore.
Il 20 Giugno viviamo una tappa fondamentale della rivolta di Teheran, i manifestanti, organizzatisi grazie a facebook e a un incessante passaparola si riversano nuovamente in strada, sono diretti a Enquelab, luogo storico dove è cominciata la rivoluzione del '79, i manifestanti sono come sempre disarmati ma determinati a raggiungere la piazza per il suo grande significato simbolico. Chi, come il governo di Teheran, si è sfamato da sempre di simbologia intuisce la forza e il pericolo che dal simbolo scaturiscono, la risposta è netta e decisa, il risultato è una carneficina. Ancora una volta apprendiamo che le cifre ufficialmente dichiarate (19 morti ndr) sono una valutazione ottimistica e poco veritiera. Parliamo con un'infermiera di pronto soccorso impiegata in un grande ospedale nei pressi di Enquelab, le cifre che ci fornisce sono scioccanti, a maggior ragione pensando che si tratta di un solo presidio ospedaliero: 36 cadaveri e 140 feriti di cui 80 in prognosi riservata. La notte del 20 è la più dura dal giorno delle elezioni e anche la più lunga, gli scontri si protraggono fino alle 07.00 del mattino ma paradossalmente lo strenuo tentativo di difendere un simbolo ne fornisce uno nuovo di una potenza sconcertante, gli occhi di Neda, i suoi ultimi atroci istanti di vita, un'immagine che fa il giro del mondo e dà un'idea degli orrori che si consumano nelle strade della capitale.
Enquelab ci è sembrato, negli occhi e nelle testimonianze dei sopravvissuti, un punto di flessione nella rivolta della capitale, una cicatrice e un monito che è sembrato potesse arrestare la rabbia sostituendola con un legittimo terrore. Come sempre è difficile parlare di cifre ma uno studente di Esfahan ci riferisce di centinaia di arrestati trasportati da Teheran e detenuti all'aperto, nei parcheggi, "tutte le carceri del paese sono sovraffollate" ci dice, nessuna cifra, solo ipotesi a tre zeri.
Le voci e le testimonianze dei giorni seguenti, si inseguono e si sovrappongono, spesso si contraddicono, la cosa certa è che alcuni focolai permangono ma troppo spesso non convergono in gruppi numerosi e compatti e sono facile preda degli spietati basiji. In gran parte della città sembra essere tornata una calma irreale, la città è presidiata, i percorsi più battuti dai manifestanti sono controllati dai guardiani notte e giorno, solo le voci dai tetti, puntuali, si fanno sempre più forti, come a dire che non sarà la paura a cancellare lo sdegno.
L'attività repressiva si intensifica e durante la notte i basiji irrompono nelle case picchiando e aprendo il fuoco su quanti sono sospettati di aver dato rifugio a manifestanti in fuga o di aver preso parte alla rivolta dei tetti. Il 24 Giugno, grazie a giorni di febbrili attività clandestine, piccoli gruppi cercano di convergere verso piazza Baharestan. La piazza, dove ha sede il parlamento iraniano, è completamente circondata e i gruppi più piccoli che rimangono isolati vengono letteralmente massacrati dai basiji, anche ignari passanti pagano la sola colpa di lavorare nei pressi della piazza. Decine di Basij appostati e nascosti sui tetti della moschea Motahari escono allo scoperto aprendo il fuoco sulla folla e disperdendo il corteo in formazione a suon di cadaveri.
Alcuni parlano di una nuova Enquelab, altri pronunciano la parola fine; le grida sui tetti, alla sera, sono assordanti e disperate. Il giorno seguente la mattanza di Baharestan, durante la consueta preghiera del venerdì, Ayatollah Khatami (da non confondersi con l'ex presidente della Repubblica islamica, il riformista Mohammad Khatami) ha dichiarato che i detenuti arrestati durante le manifestazioni saranno considerati "mokhareb". Oggi abbiamo notizia delle prime impiccagioni e scopriamo, con una stretta allo stomaco, che il governo sta mantenendo le sue promesse. Oggi, nonostante l'orrore e l'infamia, la nostra speranza è fiducia riposta nella resistenza e nel coraggio del popolo iraniano
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La polizia spara contro i manifestanti - 9 luglio 2009


da http://www.repubblica.it/ 9 luglio 2009


Teheran, la polizia spara - almeno 2 morti e 12 feriti


Carica degli agenti anti-sommossa. La denuncia degli iraniani su TwitterLa protesta nell'anniversario del decennale della strage dell'Univerisità


Appello in rete: mandate medici e personale specializzatoRagazze si tolgono il velo per tamponare le ferite dei dimostranti


TEHERAN - Almeno due manifestanti sarebbero stati uccisi da colpi d'arma da fuoco e altri 12 sarebbero rimasti feriti negli scontri con le forze di sicurezza a Teheran, secondo alcuni messaggi comparsi su Twitter, il sito di microblogging che i giovani iraniani usano per raccontare le proteste. La polizia iraniana ha sparato colpi in aria per disperdere migliaia di manifestanti scesi in piazza, nonostante il divieto imposto dal regime. Lo hanno riferito alcuni testimoni, secondo cui diversi dimostranti vicini al leader riformista Mir Hossein Moussavi sono stati arrestati dalle forze di sicurezza iraniane nel centro della capitale.

Gli arresti e gli spari in aria sono stati confermati da testimoni all'agenzia di stampa Reuters, mentre alcuni blogger su Twitter, il servizio utilizzato dai dimostranti iraniani per diffondere sulla rete le notizie della protesta, hanno riferito che 30 persone sarebbero state arrestate e che negli scontri vi sarebbero almeno 12 feriti, colpiti dalle pallottole di gomma sparate dalla polizia e 2 morti. Per questo motivo numerosi utenti del social network hanno pubblicato post in cui si chiede a medici e personale specializzato di recarsi nelle zone degli scontri per prestare soccorso ai feriti.
Secondo la Cnn online, che ha citato un giornalista sul posto, gli agenti anti-sommossa affiancati da miliziani Basiji, i paramilitari abitualmente impiegati nella repressione delle proteste di piazza, hanno caricato circa 2-3.000 persone mentre tentavano di raggiungere l'università, teatro nel luglio 1999 di una protesta studentesca che fu soffocata nel sangue. Molti dimostranti sono stati percossi sulle braccia e sulla schiena dai Basiji. I miliziani hanno tentato di convincere un uomo con la faccia sanguinante a salire su un'ambulanza, ma lui ha rifiutato, sempre secondo il giornalista. Anche la France Presse, citando testimoni, ha parlato di circa 3.000 manifestanti vicino all'università. Molti scandivano slogan come "Liberate i prigionieri politici" e "Morte al dittatore", secondo le fonti.

Le maggiori tensioni tra forze di sicurezza e dimostranti si sono verificate nei pressi dell'università di Teheran e di piazza Azadi, dove tre manifestanti sarebbero stati feriti da colpi d'arma da fuoco sparati dalle milizie basiji. Vi sarebbero scontri anche in altre zone della capitale iraniana, da piazza Vanak fino a piazza Vali Asr, mentre nei quartieri centrali di Teheran vi sarebbe un black-out delle linee di telefonia mobile.
Altri messaggi, pubblicati su Twitter, parlano di cariche della polizia in altre città del Paese come Isfahan e Shiraz. Le notizie inviate dei blogger non sono confermate da fonti indipendenti poiché i pochi giornalisti stranieri presenti nel Paese sono limitati negli spostamenti ed è impedito loro di raccontare le proteste.
La manifestazione era stata organizzata in coincidenza con il decimo anniversario della rivolta studentesca del 1999. Ma è stato anche il primo tentativo di manifestare da quando, il 29 giugno, il Consiglio dei Guardiani ha confermato la vittoria di Ahmadinejad nel voto del 12 giugno, rigettando le denunce di brogli del candidato moderato Mir Hossein Mussavi e di quello riformista Mehdi Karrubi. Le contestazioni avevano portato ai più grandi raduni di protesta nella storia della repubblica islamica, poi represse con un bilancio di almeno 20 morti, secondo le fonti ufficiali.
Rivolgendosi ai suoi oppositori il presidente iraniano oggi ha detto che "i nemici" saranno "obbligati a trattare" con il suo governo, dopo la sua riconferma, contestate dagli altri candidati e dai loro sostenitori. "Oggi i nemici - ha detto Ahmadinejad, citato dall'agenzia Isna - sono molto arrabbiati poiché, malgrado la loro propaganda, è arrivato al potere un governo con il sostegno di 40 milioni di elettori che non concederà loro alcun vantaggio. Sono obbligati a trattare con questo governo". Ahmadinejad si riferiva ai circa 39 milioni di elettori che hanno votato, su un totale di poco più di 46 milioni. L'alta partecipazione al voto è stata sottolineata dalle autorità di Teheran come un sostegno al regime. Il presidente è stato dichiarato rieletto con il 63 per cento delle preferenze.




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Ultime notizie


dalla nonviolenza in cammino - circolare telematica di Peppe Sini, Centro per la nonviolenza di Viterbo
INIZIATIVE. A BOLZANO IL 3 LUGLIO

[Da Edi Rabini (per contatti: edorabin@fastwebnet.it) riceviamo ediffondiamo]
Manifestazione a sostegno del popolo iraniano, Bolzano, 3 luglio, ore 20.
Con grande preoccupazione vediamo ogni giorno le immagini, e leggiamonotizie, di una violenta repressione in corso nelle citta' iraniane, contromanifestazioni di donne, giovani, giornalisti, intellettuali, artisti,semplici cittadini, che denunciano brogli nelle ultime elezionipresidenziali.Non possiamo rimanere indifferenti davanti a questa intollerabile violazionedella democrazia e dei diritti fondamentali.Per questo rivolgiamo un appello alle istituzioni, alle associazioni civichee ai singoli cittadini, perche' si mobilitino per sostenere il movimento perle riforme in Iran che chiede nuove e libere elezioni, la scarcerazione ditutti gli arrestati, il rispetto dei diritti umani, di opinione, riunione,informazione e delle diverse convinzioni culturali, politiche e religiose.Invitiamo ad aderire a questo appello e a partecipare ad una pacificamanifestazione a sostegno del popolo iraniano, portando messaggi e segni chericordino la forma di protesta "verde e nonviolenta" che riempie le stradedelle citta' iraniane e di tutto il mondo.La manifestazione partira' con una catena umana alle ore 20dall'Universita'-ex-Museion e si concludera' alle 20,30 con un interventodel premio Nobel per la pace Shirin Ebadi all'interno della Volxfest/a suiprati del Talvera.Promuovono: Associazione Nedaye Iran di Bolzano, Fondazione Alexander LangerStiftung, Radio Tandem Bolzano, Associazione Culturale Tandem KulturvereinBolzano, Cafe' Plural, Associazione Kaleidoskopio, Frauen Archiv/Archiviostorico delle donne di BolzanoPer aderire: info@alexanderlanger.org
Le adesioni saranno aggiornate sul sito http://www.alexanderlanger.org8/.

INCONTRI. A VERONA IL 4 LUGLIO

[Da Tiziana Valpiana (per contatti: tiziana.valpiana@tiscali.it) riceviamo ediffondiamo]

La Fondazione Alexander Langer ha attribuito il Premio internazionale 2009 aNarges Mohammadi, iraniana, giornalista, vicepresidente e portavoce delCentro per la difesa dei diritti umani e presidente del Consiglio nazionaledella pace. La cerimonia per il conferimento del premio avverra' a Bolzanovenerdi' 3 luglio. A causa dei drammatici eventi in corso in Iran, lapremiata Narges Mohammadi non ha potuto lasciare il Paese e il premio sara'ritirato a suo nome dal Premio Nobel per la Pace 2003, Shirin Ebadi.*La Fondazione Alexander Langer e l'Associazione "Il filo di Arianna"organizzano a Verona sabato 4 luglio alle ore 18 nella sede della Societa'Letteraria in Piazzetta Scalette Rubiani 1 un incontro con Shirin Ebadi,avvocata iraniana, Premio Nobel per la Pace 2003, sul tema "I diritti umaniin Iran, oggi".La cittadinanza e' invitata a partecipare.

INCONTRI. A FIRENZE IL 6 LUGLIO CON SHIRIN EBADI

[Da Severino Saccardi (per contatti: s.saccardi@aliceposta.it) riceviamo ediffondiamo]

Shirin Ebadi sara' a Firenze, ospite del Consiglio regionale su invito delpresidente Riccardo Nencini. Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace, sara'accolta lunedi' 6 luglio a Firenze da personalita' politiche edistituzionali e dalla comunita' fiorentina e iraniana.Shirin Ebadi terra' una lectio magistralis sul tema "Una vita per la cultura dei diritti".

NOTIZIE SULL'INCONTRO DI FIRENZE DEL 6 LUGLIO
DA http://www.nove.firenze.it/
post del 4-7-2009

Tutto è pronto, il Consiglio regionale della Toscana accoglierà lunedì 6 luglio Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace.L’appuntamento è nella Galleria dell’Accademia delle Belle Arti, in via Ricasoli, 66, alle 16. Su invito del presidente del Consiglio regionale, Riccardo Nencini, la donna iraniana, premiata con il Nobel nel 2003, terrà una lectio magistralis sul tema "Una vita per la cultura dei diritti umani". Sarà accolta da comunità fiorentine e iraniane, personalità politiche ed istituzionali. L’incontro è organizzato in collaborazione con le associazioni degli studenti iraniani e degli iraniani residenti in Italia di Firenze."Il suo impegno nella difesa dei diritti umani e a favore della democrazia – ha dichiarato il presidente Nencini – deve essere un esempio, oggi più che mai, da seguire". "L’occasione di avere Shirin Ebadi a Firenze, non è solo simbolica, ma è anche di grande significato politico − ha aggiunto il consigliere regionale Severino Saccardi −. L’appoggio del Consiglio regionale alla campagna sostenuta dal Premio Nobel è un segnale di forte attenzione sui diritti umani, delle libertà, della democrazia e in particolare ai diritti degli ultimi, delle donne e dei bambini, cui Shirin Ebadi si è da sempre dedicata con tenacia e inimitabile coraggio".Shirin Ebadi è una delle personalità-simbolo dell’impegno per la difesa dei diritti umani. Come avvocato, si è dedicata soprattutto alla difesa dei soggetti più deboli e indifesi della società. La sua è una vita spesa dalla parte degli ultimi e, in particolare, delle donne e dei bambini, oppressi da norme discriminatorie e da concezioni culturali che li confinano in un perenne stato di minorità. È autrice di numerosi scritti, ha pubblicato recentemente "La gabbia d’oro", edito in Italia da Rizzoli, un libro che ripercorre gli sconvolgimenti della società iraniana, dalla caduta del potere dello Scià fino all’ascesa di Ahmadinejad.Il Consiglio regionale è impegnato sin dai primi giorni dopo le elezioni presidenziali in Iran, al fianco delle forze democratiche che denunciano brogli. Nella seduta del primo luglio, l’assemblea toscana ha approvato all’unanimità una mozione nella quale si chiede al Governo italiano di non riconoscere riconoscere la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad, finché tutti i dubbi sulla legittimità del risultato elettorale non siano sciolti, o siano indette nuove elezioni, non sia cessata la repressione, non sia ristabilito un clima di dialogo e di rispetto della legalità. (s.bar)

post del 30-6-08 http://www.nove.firenze.it/

Shirin Ebadi, undicesima donna a vincere il premio Nobel per la Pace (11 dicembre 2003, ndr) ma prima donna iraniana e prima donna musulmana ad ottenere il significativo riconoscimento, sarà a Firenze lunedì 6 luglio, ospite del Consiglio regionale della Toscana.Su invito del presidente Riccardo Nencini, Ebadi sarà accolta da comunità fiorentine e iraniane, personalità politiche ed istituzionali per un incontro sul tema "Una vita per la cultura dei diritti"."Il suo impegno nella difesa dei diritti umani e a favore della democrazia – anticipa il presidente Nencini – deve essere un esempio, oggi più che mai, da seguire". post del 22-07-2008

Iran: manifestazione di donne e raccolta di firme in via Cavour Firenze– Una rappresentazione teatrale in via Cavour, davanti a Palazzo Panciatichi, a sostegno delle donne iraniane, la raccolta di firme per strada, l’accoglienza nella Sala del Gonfalone da parte di una rappresentanza del Consiglio regionale della Toscana e infine il saluto in Aula. Si è svolta così la giornata in Consiglio regionale del "Teatro di Nascosto − Hidden Theatre", impegnato in una campagna di sensibilizzazione sul tema della parità di diritti per le donne in Iran e nella campagna "Un milione di firme per cambiare le leggi discriminatorie", sottoscritta dal premio Nobel per la pace 2003, Shirin Ebadi.All’entrata di Palazzo Panciatichi, la performance di teatro-reportage: sei donne vestite di nero rappresentano la condizione femminile in Iran. "No alle leggi contro le donne", "No alle leggi ingiuste", "Libertà per tutte le donne", gridano nella loro lingua, il farsi, quindi chiedono le firme dei presenti, per prime quelle dei consiglieri regionali. Di seguito una rappresentanza del Consiglio regionale della Toscana, composta da Severino Saccardi, Ambra Giorgi, Stefania Fuscagni, Enzo Brogi, Fabiana Angiolini per la commissione Cultura e dal segretario questore dell’Ufficio di presidenza, Bruna Giovannini, ha ricevuto le partecipanti all’azione teatrale nella Sala del Gonfalone. "È molto importante che il Consiglio regionale manifesti aperto appoggio alla campagna sostenuta da Shirin Ebadi − ha detto, rivolto a loro, Severino Saccardi −. Dell'Iran si parla quasi solamente in relazione al pur scottante tema del nucleare e dell'ipotesi malaugurata di un intervento militare esterno. E invece è necessario richiamare l'attenzione sul tema dei diritti umani, delle libertà per cui una parte significativa di quella società si va coraggiosamente impegnando, nonostante la dura politica repressiva del regime teocratico di Teheran. Nel sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale del 1948 − chiude Saccardi −, l'impegno diffuso per l'universale attuazione dei diritti umani si conferma di grande e stringente attualità". "In Iran c’è una paura profonda: le donne hanno paura di esprimersi, di essere spiate, di essere controllate", ha spiegato Annet Henneman, a nome del Teatro di Nascosto.Durante la seduta del Consiglio Regionale, è stato il vicepresidente Alessandro Starnini ad accogliere e salutare le donne della compagnia teatrale. Starnini ha ricordato la campagna sostenuta anche dal premio Nobel, Shirin Ebadi, e confermato il sostegno del Consiglio regionale della Toscana. Nella sede del Consiglio, saranno da oggi disponibili i moduli per la raccolta delle firme. Questa azione del Teatro di Nascosto accompagna lo spettacolo "Imraa, Jin, Xanman, donne…", in cartellone al Festival del teatro di Volterra, sabato 26 luglio, alle 16. (s.bar)

IRAN: SENATORI PD, "FRATTINI SI IMPEGNI PER COINVOLGIMENTO ONU".

"Intervenga anche sul caso della giornalista Narges Mohammadi e di suo marito".

I senatori del Pd Pietro Marcenaro, presidente della commissione per i diritti umani, Francesca Marinaro, capogruppo nella commissione Politiche dell'Ue, Massimo Livi Bacci e Marco Perduca (Radicali) hanno presentato un'interrogazione urgente rivolta al ministro degli Esteri Franco Frattini, per chiedere quali iniziative siano state disposte dal ministero per affrontare la situazione in Iran e, soprattutto, se il ministro non "voglia impegnarsi attivamente affinché le Nazioni Unite siano coinvolte in questo delicato momento".
"Dopo i fatti del 15 giugno - scrivono i senatori del Pd - giorno in cui in Iran i è svolta una manifestazione pacifica a sostengo dell'ex candidato alle presidenziali Mir Mir Hossein Mussavi nel corso della quale sono stati uccisi molti manifestanti, mobilitazioni di massa si annunciano ancora nelle prossime ore.
I cittadini iraniani stanno manifestando da giorni in un enorme movimento di protesta pacifico contro il contestato risultato elettorale, mentre in tutto il mondo sta crescendo il sostegno a queste iniziative.
Per questo vogliamo sapere come si stia muovendo il ministro Frattini per far fronte a una situazione che desta più di un motivo di preoccupazione".
Il senatore Pietro Marcenaro ha inoltre presentato un'interrogazione sul caso della giornalista iraniana Narges Mohammadi, attesa in Italia dal 2 al 7 luglio insieme al marito Thagi Ramahani, entrambi attivisti per i di ritti civili, per ritirare il premio Alexander Langer 2009.
"Nei giorni scorsi il regime iraniano - spiega Marcenaro - senza nessuna motivazione ufficiale, ha sospeso il passaporto di Narges Mohammadi e proceduto all'arresto del marito Taghi Rahamani. Per questo chiedo a Frattini se non ritenga di farsi portavoce nei confronti delle autorità iraniane, per tramite dell'ambasciatore italiano a Teheran, della più viva protesta contro questa limitazione della libertà personale dei due attivisti civili".
Roma, 17 giugno 2009 Ilaria Di Bella -Ufficio stampa gruppo Pd Senatotel: 06.6706.5653 - 329/4345628ilaria.dibella@senato.it
Shirin Ebadi, presidente del Centro difensori dei diritti umani (del quale Narges Mohammadi è vice-presidente e portavoce) ha rilasciato a Radio Free Europe una dichiarazione: le auroritá indicano nuove elezioni, rilasciare tutti i fermati

Le autorità iraniane dovrebbero indire nuove elezioni presidenziali, con la presenza di osservatori internazionali, e rilasciare tutte le persone arrestate nel corso dei disordini scoppiati dopo l'esito del voto: lo ha dichiarato il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, intervistata dall'emittente Radio Free Europe. "Il popolo iraniano ha espresso dei dubbi sull'esito delle elezioni e milioni di persone sono scese in strada per manifestare in modo estremamente pacifico: la risposta alle loro richieste è stata violenta, abbiamo contato numerosi morti e feriti", ha dichiarato Ebadi, che ha chiesto alle autorità il rilascio immediato e senza condizioni di tutti i fermati. Secondo Ebadi nella situazione attuale un riconteggio dei voti sarebbe inutile: "Occorre indire nuove elezioni, questa volta sotto la sorveglianza delle organizzazioni internazionali in modo da far sì che tutti i partecipanti accettino l'esito del voto come espressione dell'effettiva volontà popolare". Il Premio Nobel per la pace ha espresso l'auspicio che "la razionalità abbia la meglio e le richieste del popolo sino ascoltate", sottolineando tuttavia la necessità che le dimostrazioni rimangano pacifiche. (Apcom 17 giugno)
Solidarieta' con la lotta democratica del popolo iraniano
mozione approvata dal Consiglio Regionale della Toscana su iniziativa del consigliere Severino Saccardi
il 6 luglio a Firenze Shirin Ebadi ha invitato a prendere iniziative analoghe da parte dei consigli regionali e degli enti locali
Il Consiglio Regionale della Toscana esprime viva apprensione e forte preoccupazione per quanto sta avvenendo in Iran, dove, dopo lo svolgimento delle elezioni presidenziali, che hanno registrato un massiccio afflusso alle urne, e in seguito all’unilaterale proclamazione del conseguimento della vittoria da parte dell’ex presidente Ahmadinejad e la conseguente contestazione del risultato, considerato non credibile e viziato da gravi irregolarità, da parte dell’opposizione e da un ampio e determinato movimento di opinione pubblica, sono andate maturando gravi tensioni e si è andato creando un clima di grave instabilità; ritiene inaccettabile e assolutamente condannabile il ricorso alla violenza contro i manifestanti, cui più volte, in forme talora crude ed efferate, hanno fatto ricorso sia le forze regolari di polizia sia le squadre paramilitari dei cosiddetti “Basij” condanna in particolare, le uccisioni di uomini e donne inermi (che i filmati che giungono dell’Iran, sia pure in un momento di inaccettabile oscuramento dell’informazione giornalistica, documentano in modo inoppugnabile) e l’arresto e la detenzione dei dimostranti manifesta viva e convinta solidarietà a coloro che in Iran si impegnano per il rispetto della legalità, per la trasparenza della dimensione pubblica, per la democrazia e i diritti umani, in piena coerenza con le posizioni più volte unanimemente espresse e votate dall’ Assemblea Consiliare conferma pieno appoggio e sostegno alla comunità iraniana di Firenze e della Toscana ed in particolare ai giovani e agli studenti che si vanno esemplarmente impegnando in un’opera attiva di informazione dell’opinione pubblica su quel che nel loro Paese va avvenendo e per sostenere la battaglia di libertà dei loro connazionali in patria assume un coerente impegno di vicinanza e di fattiva solidarietà con le famiglie delle vittime, impegnandosi ad attivarsi per studiarne e metterne a punto forme di concreto sostegno alle loro istanze di carattere umano ed etico ed alle loro necessità di ordine materiale impegna la Giunta Regionale ad impegnarsi, in tutti gli ambiti e nelle forme possibili, nel sostenere la lotta per il rispetto dei diritti umani dei democratici e del popolo iraniano e a mettere in atto forme concrete di sostegno e di solidarietà con la società civile di quel Paese e con la comunità iraniana di Firenze e della Toscana chiede al Governo nazionale di non riconoscere la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad finché non siano sciolti i dubbi sulla legittimità del risultato elettorale, o non si siano svolte nuove elezioni (come richiesto dal candidato Moussavi e dall’opposizione democratica), non sia cessata la repressione,non sia ristabilito un clima di dialogo e di rispetto della legalità auspica che l’Unione Europea e la Comunità internazionale, pur nel mantenimento della disponibilità al dialogo e al confronto con la Repubblica islamica iraniana, tengano ferma la richiesta esigente del ripristino di un clima di serenità che solo il rilascio degli arrestati, la fine della repressione e l'apertura reale di un confronto con l'opposizione può assicurare in quel grande e travagliato Paese.

Presentatori: Severino Saccardi - Lucia Franchini -Enzo Brogi -Rosanna Pugnalini - Daniela Belliti Giovannini -Bruna Alessia Petraglia- Mario Lupi - Monica Sgherri - Paolo Marini - Alessandro Antichi - Marco Montemagni - Pieraldo Ciucchi - Roberto Benedetti - Marco Carraresi

Continua...

Iran forme di lotta

Iran, sciopero generale, cortei, sanzioni, ambasciata di pace

Milano, 2 luglio 2009

Manifestiamo, orsù, anche in Italia; e firmiamo l'appello per non lasciare sola l'Onda Verde...
(Il messaggio di adesione si lascia sulla URL: http://ambasciatadipaceteheran.blogspot.com/ )

La ribellione iraniana non si ferma. Il "colpo di Stato" clerico-fascista non ha ancora chiuso la partita. Il Consiglio dei guardiani ha convalidato la (dubbissima e sicuramente truffaldina) vittoria di Ahmadinejad, ma lo sfidante Mousavi, divenuto forse suo malgrado leader di una contestazione democratica, non riconosce legittimità al suo governo.
Mousavi chiede di "ristabilire il corso della legge": mettere fine alla militarizzazione della società, rivedere le leggi elettorali, onorare l'art. 27 della Costituzione (la libertà di associazione) e la libertà dei media, riattivare i siti web censurati.
Io penso, con tutti i limiti di chi guarda le cose da lontano e senza un adeguato approfondimento di conoscenza, che le "armi finali" contro il regime, in via di ulteriore degenerazione militarista, potrebbero essere, nell'ordine:
1- disertare le moschee il venerdi (ma associato, per chi vuole, a forme alternative di preghiera: l'iniziativa non deve essere presentata come un attacco alla religione in quanto tale, ma contestazione della sola "Guida Suprema");
2- lo sciopero generale;
3- la disobbedienza fiscale.
Lo sciopero generale pare sia stato proclamato per i giorni dal 5 all'8 luglio (vedi articolo di "Repubblica"). Si discuterebbe anche di una grande manifestazione di piazza a Teheran e di cortei in tutto il Paese.
L'occupazione continua e massiccia delle piazze funziona solo in presenza di contraddizioni interne agli apparati repressivi: vedi Germania Est (esperienza che ho vissuto direttamente). Altrimenti questa modalità offre il facile destro all'uso sanguinoso della forza fisica, il terreno in cui il potere autoritario è più attrezzato e sempre più vincente, mano mano che progredisce la tecnologia distruttiva. Le divisioni interne al sistema di potere iraniano sono in corso di svolgimento. Mi sembra che Khameini si sia alleato con Ahmadinejad per eliminare lo "squalo" Rafsanjani, il quale presiede l'organismo ("assemblea degli Esperti) che teoricamente può deporre la "Guida Suprema". Resta da capire chi dei due (tra Khameini ed Ahmadinejad) sia oggi il "socio di maggioranza"...
Alla festa per la vittoria di Ahmadinejad si sono presentati solo 105 su 290 deputati del Parlamento iraniano. Il primo tra gli assenti: il portavoce del Parlamento, Larijani. La figura religiosa più stimata, l'Ajatollah Montazeri (che avrebbe dovuto succedere a Khomeini), ha proposto il lutto nazionale in omaggio alle vittime delle violenze, ed ha affermato, rivolto alle Autorità: “Tornate a ragionare e non allontanate il popolo dallo Stato e dalla religione islamica. Sicuramente la vostra condotta non giova all'Islam e macchia la nostra religione. Saranno tante le persone che, osservando il vostro operato, sotto il nome dell'Islam, si allontaneranno dalla religione. Riflettete prima che sia troppo tardi”. Ma anche molti altri grandi Ajatollah si sono pronunciati contro Ahmadinejad. Lo "strappo" da lui compito all'interno dell'establishment islamico è sicuramente lacerante. Se non gli si dà l'occasione per fare piazza pulita manu militari, contraddizioni interne, in ebollizione, potrebbero esplodere anche tra i gradi alti ed i gradi medi dei Basji...

Alfonso Navarra - obiettore alle spese militari e nucleari Sent: Tuesday, June 30, 2009 8:19 PM

Subject: Iran - sanzioni o nuovi strumenti

Anche l'esperienza dell'Iraq conferma che le "sanzioni" statali sono pagate pesantemente dai popoli, specie nei settori più deboli, ed incidono poco sui regimi oppressivi, anzi li rafforzano ed incarogniscono. L'offerta di "dialogo" (es. la "mano tesa" di Obama dal Cairo) fa invece esplodere le loro contraddizioni interne. Ed occorre inventarsi NUOVI STRUMENTI DI INTERVENTO, basati sul principio della creazione di ponti tra le diverse società civili. Le "ambasciate di pace" rientrano tra essi. Da questo punto di vista è importantissimo che si attivino e potenzino network internazionali delle donne. La domanda però resta, per tutti i dubbiosi e le dubbiose, che temono di portare acqua al mulino dell'America, o addirittura di picconare il "fronte anti-imperialista": analizzare va bene, ma mobilitarsi oggi contro le donne massacrate no? Per quanto mi riguarda c'è anche un elemento "egoistico": so benissimo che dalle vicende iraniane può scaturire la prima guerra nucleare limitata dell'umanità. Quindi quando vado ai sit-in delle studentesse e degli studenti iraniani io non porto soltanto la mia solidarietà, sto lottando anche direttamente per me stesso... Alfonso Navarra - obiettore alle spese militari e nucleari PS- ricordate che è un errore identificare le lobby americane dello "sviluppo sostenibile" con il Military Industrial Complex... Non esistono, al mondo, realtà sociali monoliticamente omogenee. Neanche l'Iran lo è, figuriamoci gli USA! Proprio su questo assunto si basa la teorica praticabilità di una strategia nonviolenta, ma anche - a ben guardare - di tipo marxista rivoluzionario. C'è il famoso detto di Mao, ricavato da Confucio: "L'uno si divide in due"...

venerdì 26 giugno 2009 14.45

Ho partecipato al sit in davanti al consolato peruviano in Milano e - da giornalista - sto preparando un pezzo impegnato dalla parte della lotta indigena che difende un bene ambientale patrimonio dell'umanità. Essere contro le pallottole che uccidono i giovani iraniani - e gli indios peruviani - chiama anche alla protesta contro le bombe che massacrano i civili afghani... La gente comune, quella che vuole lavorare e vivere in pace, con i diritti umani e sociali garantiti, è oggi "carne da macello" in tutto il mondo ed i carnefici issano varie bandiere ed indossano diverse divise. L'internazionale degli oppressi si libererà di tutti costoro, del sistema che dà loro potere, ed assicurerà un futuro alla specie umana.

Alfonso Navarra
Continua...