martedì 21 luglio 2009

La militarizzazione dell'Iran - una discussione

DA PARTE DI ALFONSO NAVARRA
COORDINAMENTO FERMIAMO CHI SCHERZA COL FUOCO ATOMICO

Caro Pietro Ancona,

Se diamo una mano ad Ahmadinejad ed ai suoi sogni di gloria militare e di potenza facciamo il gioco del militarismo israeliano e di quello americano che non aspettano altro per riaffermare, contro Obama, il loro "war first!"

Se l'Onda Verde sollevatasi a Teheran non molla ma continua a resistere (anche grazie alle contraddizioni interne del regime clerico-fascista) questi piani saltano - fortunatamente - per aria.

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Nelle mie analisi parto solitamente dall'ipotesi sommaria che il nucleare rappresenti 1/5 dell'apparato difensivo USA, per una spesa che si aggira sui 100 miliardi di dollari annua (confermata da una recente relazione del Carnegie Endowment for International Peace, si veda alla URL http://nwoobserver.wordpress.com/ ).

Questo come peso quantitativo.

Qualitativamente va considerato invece lo strumento supremo, il punto centrale della strategia difensiva, che tende oggi a passare dalla deterrenza all'impiegabilità.

In questo contesto possiamo inserire la denuncia di Angelo Baracca sulle "armi misteriose" impiegate a Gaza, di cui parla un servizio di RAINEWS 24.

Il governo israeliano, in questo caso, ha sperimentato per conto del MIC-Military Industrial Complex USA - che va distinto dalla Nazione Americana.

Angelo Baracca, in un suo recente messaggio nella mauling list "rivoluzione scientifica", lancia un allarme nei confronti degli orrori che il "progresso" (?) tecnologico al servizio della guerra sta realizzando.

Baracca cita, ad esempio, notizie su "orripilanti utilizzazioni delle nanotecnologie".

Ed aggiunge: "Da anni cerco di lanciare un allarme sul gravissimo (quanto taciuto) inquinamento radioattivo dell'atmosfera terrestre (ne ho trattato, con molte referenze, sul mio ultimo libro sul nucleare), legato all'aumento ormai inequivocabile delle patologie tumorali".

"Mi convinco sempre di più, afferma in conclusione - che siamo sull'orlo dell'abisso della barbarie più sfrenata e sconsiderata"...

Qual è la risposta, di fronte a questa china che ci porta alla catastrofe?

Alcuni - e tu, Pietro Ancona rientri tra questi - pensano che la strada sia aiutare gli "Stati anti-imperialisti" a inseguire le grandi potenze nella loro corsa distruttiva a più armi e sempre più micidiali.

Da una parte denunciamo il "cattivo" nucleare americano ed israeliano, dall'altra appoggiamo il "diritto" delle Nazioni "proletarie" a farsi la propria Bomba... Questo servirebbe a renderle "autonome"!

E' una visione speculare a quella della sua interlocutrice Barbara Spinelli, nota fondamentalista sionista, per il quale il nucleare "buono" è quello in mano agli "occidentali", "buoni", appunto, per antonomasia e quindi beneficiari dell'"omnia munda mundis".

Viva la democrazia atomica con le Bombe "autonome" in mano a tutti! ed intanto il solo ampliarsi dei cicli produttivi di uranio e plutonio ci condanna tutti al disastro ecologico, anche se le testate dovessero rimanere sempre e solo stipate nei silos.

Al sottoscritto questo orientamento appare un delirio stupido ed autodistruttivo, che poteva avere senso - forse - nel 1968, quando poteva rivendicare credibilità l'idea di ricostuire un "fronte anti-imperialista" intorno alla Repubblica Popolare Cinese, impegnata nella Grande Rivoluzione Culturale Proletaria...

Essendo entrati, per chi non se ne fosse accorto, nel XXI Secolo, avendo constatato il fallimento del "comunismo reale", in presenza del prossimo crollo del "capitalismo reale", abbiamo oggi bisogno di visioni globali che facciano riferimento alla "comune umanità" e di unire gli esseri umani - in prima fila gli "oppressi" - nella lotta contro gli "apparati sociali della potenza".

Questo è il compito dell'oggi per chi intende militare nel "fronte della sopravvivenza della specie".

Le altre battaglie le considero allo stesso livello che riproporre oggi il conflitto guelfi-ghibellini: roba superata, oltre che immonda, che serve solo a legittimare poteri costituiti che dovremmo invece abbattere.

Se diamo una mano ad Ahmadinejad ed ai suoi sogni di gloria militare e di potenza facciamo il gioco del militarismo israeliano e di quello americano che non aspettano altro per riaffermare, contro Obama, il loro "war first!"

Se l'Onda Verde sollevatasi a Teheran non molla ma continua a resistere (anche grazie alle contraddizioni interne del regime clerico-fascista) questi piani saltano - fortunatamente - per aria.

Che i ragazzi e le ragazze come Neda, al pari degli indios e dei contadini in America Latina, siano la speranza per la pace nel mondo è comunque fuori dalla possibilità di comprensione di chi non riesce ad uscire dalla sua vecchia gabbia ideologica, fatta di concetti astratti che, ieri come oggi, sono sempre dalla parte di chi spara contro i poveracci, in nome di ormai sputtanati Paradisi terreni futuri.

La necessità di "rompere l'accerchiamento e l'assedio" come giustificazione di tutte le nefandezze è una storia che conosciamo almeno sin dai tempi di Stalin.

E se Abu Mazen è un "venduto" figuriamoci quanto sono libere ed indipendenti dallo "straniero" le bande di Hamas!

Ma non ti preoccupare, Neda. Le marce ideologie di due secoli fa (il tempo passa...) non riusciranno a seppellirti una seconda volta e a dare lustro di campione popolare al tuo carnefice Ahmadinejad.

I nostri sogni sono semplici, concreti, sono sogni di libertà elementari (poter portare i capelli lunghi: il '68 è nato anche su questo), sono sogni di diritti basilari; sono sogni ed insieme bisogni: per questo, comunque colorati, e senza bisogno di studiare Gene Sharp, ce la faremo.

Per l'intanto ricordiamoci di praticare l'obiezione alle spese militari e nucleari

Info sul sito: www.osmdpn.it



DA PARTE DI PIETRO ANCONA


Cara Dott.ssa Spinelli,

Lei scrive una bellissima prosa ricca di riferimenti culturali. Spesso si ha il piacere, leggendola, di fare una lettura colta, informata, stimolante.

Quando questa bella scrittura è applicata alla dimostrazione di una falsa verità, cioè di una menzogna, è doppiamente riprovevole. E' preferibile la prosa ruvida ed aggressiva di quanti apertamente vogliono e preparano un'altra apocalisse per l'Iran, l'apocalisse per la quale sommergibili israeliani con la complicità dell'Egitto, (il cui regime anche Lei si guarda bene dall'analizzare con lo stesso microscopio che usa per l'Iran),hanno attraversato lo stretto di Suez e si sono piazzati, magari con microbombe nucleari, alle spalle dell'Iran.

Forze navali israeliane, con l'assistenza europea e statunitense, da molti mesi si esercitano al largo di Gibilterra in vista appunto di una aggressione all'Iran.

Lei fa discendere le involuzioni del regime iraniano verso il nazionalismo ed il militarismo da dinamiche interne, come se quanto accade in Iran possa prescindere e non dipenda dalla situazione di accerchiamento internazionale e di isolamento in cui è costretto da anni dall'Occidente. Si potrebbe salvare da ciò se tornasse ad essere come lo Scia il guardiano feroce e sanguinario degli interessi occidentali nell'area e se collaborasse militarmente con gli Usa in Afghanistan. Mousavi e Rafsanjani sono i grimaldelli per distruggere l'autonomia dell'Iran e farne quello che Abu Mazen ha fatto della Gisgiordania, una nazione non "canaglia" ma serva di un padrone che si fa rappresentare in loco dalla enorme e minacciosa potenza atomica israeliana.

Non ho dubbi che l'anelito di libertà e di democrazia dei giovani iraniani sia oggi strumentalizzato alla causa della ennesima rivoluzione colorata attentamente studiata da Gene Sharp e di già applicata con successo in tanti posti di grande interesse strategico per gli Usa come la Georgia, la Bielorussia, l'Ucraina........

La responsabilità dell'indurimento del regime iraniano è dell'Occidente e delle sue politiche di strangolamento di ogni opposizione ad una omologazione sottomessa. Tutti i popoli che si sono dati regimi ideologicamente diversi dal capitalismo hanno subito la stessa tragica sorte. Dalla Russia di Lenin a Cuba di Fidel Castro. Non sappiamo se i comunismi sarebbero stati dittature senza l'accerchiamento delle diverse "guardie bianche". Forse non lo sapremo mai. Di certo,sotto la spada di Damocle dell'invasione e della distruzione non prospera la libertà e con essa la democrazia.

La situazione iraniana è assai pericolosa dal momento che l'Occidente ha spaccato il gruppo dirigente della Rivoluzione ed ha assoldato un'ala peteinista che è assai potente e può darsi che riesca a rovesciare Ahmanidjed ed ad aprirsi alle pretese imperiali degli Usa e del suo pretoriano Israele. In questo caso la popolazione di Gaza continuerà a soffrire la fame e la sete e la prigionia fino alla sua estinzione fisica e magari il Libano, appena qualcuno avrà finito di ricostruirlo, sarà ridotto in macerie per la terza volta. Il destino dell'Iran sarà segnato da governi del genere di quelli che gli americani puntellano con le spade in Irak ed Afganistan.

Che cosa avranno i giovani iraniani dalla vittoria del movimento in corso?

Pietro Ancona





http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=40&ID_articolo=162&ID_sezione=55&sezione=



28/6/2009

L'Apocalisse maschera del potere


BARBARA SPINELLI

Ci sono abitudini simili a bende sugli occhi, che impediscono di vedere. O simili a guinzagli, che accorciano il pensiero annodandolo al conformismo. Il nostro sguardo sull’Iran è prigioniero di queste bende e questi guinzagli, fin dai tempi dello Scià e poi anche dopo la rivoluzione di Khomeini. L’Iran lo identifichiamo ormai da trent’anni con il turbante, con il Corano, con la violenza in nome di Dio, con la religione che s’intreccia alla politica e l’inghiotte. Quando i suoi dirigenti si ergono contro il mondo esterno o contro il proprio popolo, subito tendiamo a scorgere la mano e la mente d’un clero retrogrado. Il suo establishment usiamo chiamarlo religioso, nell’élite sacerdotale ci ostiniamo a non vedere altro che integralismo.

È dagli Anni 50 che le amministrazioni americane sbagliano politica in Persia, suscitando sistematicamente le soluzioni peggiori e trascinando negli errori anche l’Europa. Tanto più urgente è congedarsi da bende e guinzagli, e cominciare a guardare quel che veramente sta succedendo in Iran.

Da quando si sono svolte le elezioni, il 12 giugno, sui tetti delle case si aggirano giovani assetati di libertà che gridano nella notte «Allah Akbar», Dio è grande, aggiungendo immediatamente dopo: «A morte il dittatore», proprio come nel 1979. Sono cittadini che di giorno hanno sfilato per strada contro i brogli elettorali: che hanno smesso la paura, e rischiano la vita parlando con frequenza di sacrificio di sé. Anche Mir Hossein Mousavi, il loro leader, annuncia che resisterà «fino al martirio».

A Qom, che è una delle città sacre dell’Islam sciita di qui partì la rivoluzione khomeinista vive una classe sacerdotale che nella stragrande maggioranza avversa il presidente. Non più di tre, quattro ayatollah lo sostengono, anche se i loro uomini occupano i principali centri di potere (Pasdaran, servizi, giustizia). I massimi teologi del Seminario di Qom hanno scritto una lettera aperta, dopo il voto, in cui dichiarano i risultati «nulli e non avvenuti». Viene da Qom ed è figlio di un ayatollah il presidente del Parlamento Larjiani, ostile a Ahmadinejad. Si è rinchiuso a Qom il numero due dello Stato, l’ayatollah Rafsanjani, per verificare se sia possibile mettere in piedi una maggioranza di religiosi, nel Consiglio degli esperti che presiede, capace di destabilizzare e forse spodestare la Guida suprema, l’ayatollah Khamenei che ancora difende la legittimità di Ahmadinejad. Il Consiglio degli esperti nomina la Guida suprema a vita, ma può destituirla se essa non mostra saggezza. Sembra che Rafsanjani abbia già convinto 40 capi religiosi, sugli 86 che compongono il Consiglio. Nella città religiosa di Mashhad, molti sacerdoti musulmani hanno partecipato alle manifestazioni contro il regime. Non trascurabile è infine il simbolo della resistenza: verde è il colore dell’Islam. Questo significa che non siamo di fronte a una sollevazione contro lo Stato religioso. Per il momento, siamo di fronte a un’insurrezione fatta in nome dell’Islam contro un gruppo dirigente considerato blasfemo e nemico del clero.

Ahmadinejad ha questo vizio blasfemo, agli occhi della maggioranza dei sacerdoti tradizionali e di grandissima parte della popolazione. In lui non si percepisce un leader integralista, ma un dittatore che ha motivazioni tutt’altro che religiose. Il suo potere è innanzitutto militare, e nel frattempo è anche divenuto economico. Le sue parole d’ordine sono improntate a un nazionalismo radicale, estraneo alla spiritualità. Il corrispondente della Frankfurter Allgemeine, Rainer Hermann, è un fine conoscitore del paese e parla di «svolta pakistana»: sotto la presidenza Ahmadinejad, negli ultimi quattro anni, avrebbe preso il potere un’élite che nella sostanza è laica, e che usa la religione non solo per abbattere ogni forma di democrazia ma per distruggere il clero tradizionale.

L’uso della religione è sin da principio politico, in Ahmadinejad.

Fedele alle dottrine apocalittiche dell’ayatollah Mesbah Yazdi, il presidente si dice convinto che l’era dell’ultimo Imam il dodicesimo Imam messianico, il Mahdi occultato da Dio per oltre 1100 anni stia per riaprirsi, con il ritorno del Mahdi. Tutte le apocalissi, anche quelle ebraiche e cristiane, sono rivelazioni che presuppongono tempi torbidi, in cui il male s’intensifica. Anche per la scuola Hakkani, che Yazdi dirige e cui appartengono gli Hezbollah iraniani, il male va massimizzato per produrre il Bene finale. L’ayatollah ha insegnato a Ahmadinejad l’uso del messianesimo a fini politici, non teologici. I politici messianici in genere parlano di Apocalisse non perché credono nella Rivelazione, ma perché nell’Apocalisse il dialogo con Dio è diretto (nell’Apocalisse di Giovanni scompaiono i templi) e il capopopolo non ha più bisogno del clero come intermediario. L’apocalisse serve a escludere il clero dalla politica e forse anche la religione.

Il segno più evidente della svolta laico-pakistana di Ahmadinejad è la militarizzazione del regime. I guardiani della rivoluzione, i Pasdaran, dipendono da lui oltre che da Khamenei. E i picchiatori delle milizie Basiji non sono nati nel fervore religioso ma nel fervore della guerra di otto anni tra Iran e Iraq. I Basiji erano i bambini o i giovanissimi che in quella terribile guerra, tra il 1980 e il 1988, venivano gettati, inermi, nei campi minati dal nemico: perirono in migliaia. Secondo alcuni storici (tra cui lo specialista Hussein Hassan) Ahmadinejad fu il giovane istruttore di quei martiri forzati. Il suo disegno: rompere il singolare equilibrio di poteri tra sovranità popolare-democratica, sovranità religiosa e sovranità militarizzata che caratterizza l’Iran. Un equilibrio ripetutamente violato ma che rispecchia la storia del paese, sempre oscillante fra il costituzionalismo democratico affermatosi nel 1906 e la brama mai spenta di Stato assoluto. Il potere di Ahmadinejad e dei Guardiani è ormai più forte anche presso i più poveri del paese di quello dei Mullah, i sacerdoti che fecero la rivoluzione.

Quel che è avvenuto sotto Ahmadinejad è una sorta di colpo di Stato modernista, che ha intronizzato l’élite formatasi nella guerra contro l’Iraq. È il potere di quest’élite che Ahmadinejad protegge, e esso non coincide con il potere religioso. Tra molti esempi si può citare la decisione di togliere al clero la gestione dei pellegrinaggi e di affidarla al ministero del Turismo: una misura che ha profondamente umiliato i religiosi. L’apocalisse è strumento di lotta molto terreno: nella conferenza stampa dopo le elezioni, Ahmadinejad ha ripetuto la formula d’obbligo che impone di parlare «in nome di Allah il Misericordioso», ma subito dopo ha rotto la tradizione invocando il dodicesimo Imam. Le milizie Basiji da qualche tempo si son tagliate la barba: è un altro segno di ribellione ai Mullah. Nella campagna elettorale, Mousavi si è presentato con il verde dell’Islam e del movimento riformatore. Ahmadinejad con la bandiera nazionale.

È dunque il nazionalismo militarizzato, il regime che oggi vacilla e sta riducendo al silenzio i riformatori. È il nazionalismo che si è abbarbicato all’atomica, e fatica a negoziare su di essa. Ma l’atomica è al tempo stesso la risposta dell’Iran intero ai tanti errori di valutazione dell’Occidente e alla cecità delle amministrazioni Usa, che mai hanno capito le riforme di cui questo paese aveva bisogno (non lo capirono con il Premier Mossadeq, che spodestarono nel 1953 per tutelare lo Scià e le vie del petrolio; non lo capirono quando minacciarono Teheran nonostante al governo ci fossero riformatori come Rafsanjani o Khatami). La sfida atomica iraniana non verrà meno, il giorno in cui vincessero i riformatori. Ma almeno non sarà al servizio del più tremendo dei nazionalismi: quello che sceglie come maschera l’Apocalisse.

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